Ivana Arena è un’ostetrica, lavora a Roma come libera professionista. È appena tornata da un parto in casa, finito con il trasporto della mamma all’ospedale. “E’ l’esempio che se la situazione si complica, siamo perfettamente in grado di intervenire”. Il parto in casa è una pratica che torna a diffondersi e che viene rivendicata dalle ostetriche “per poter vivere in modo naturale la nascita”. E se in alcune regioni d’Italia è previsto un rimborso per chi sceglie di restare nella propria abitazione, non mancano le perplessità e le resistenze: “Il nostro Paese non è pronto”, commenta Paolo Scollo, presidente della Società italiana di ginecologia e ostetricia. 

Nella giornata internazionale del parto in casa, oggi 6 giugno, festeggiata con eventi in tutta Italia (ad esempio a Milano, Varese e in Romagna con un flash mob virtuale), Ivana Arena e le sue colleghe – molto attive in rete, ad esempio con i siti “Nascita..non disturbare“, “Nascere in casa si può“, “Movimento Italiano Parto Attivo” – fanno il punto su un diritto fondamentale di ogni donna, come previsto dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo e come ricordato di recente dal recente documentario Freedom for birth: quello di scegliere dove partorire, a casa o in ospedale, avendo in entrambi i casi garantite le stesse opportunità.

Quello che ne risulta è un bilancio in chiaroscuro. Da un lato, avanza sempre di più una concezione del parto troppo medicalizzato, che spesso conduce a cesarei non necessari – in Italia sono il 40%, il doppio di quanto raccomandato dallo stesso ministero della Salute – che spesso si accompagnano a una visione della nascita come un evento patologico, sempre rischioso, e comunque traumatico. Dall’altro, nel paese dei diritti a macchia di leopardo, solo alcune Regioni, tra cui Marche, Emilia Romagna, Trentino, Piemonte e da poco il Lazio, prevedono un rimborso di quanto speso in casa, una cifra che resta comunque di gran lunga inferiore a quanto lo Stato non spenda per un parto in ospedale. “In Toscana, ad esempio, è prevista l’agopuntura in alcuni ospedali ma non c’è il rimborso per chi scelga il parto a domicilio, fortemente raccomandato dall’Oms”, continua Ivana Arena.

Ma i problemi per chi vuole partorire in casa (si può fare contattando i siti in rete o direttamente la Federazione Nazionale Collegi Ostetriche) non si fermano qui. Il nostro Paese, oltre a imporre alle ostetriche di portar con sé un farmaco non in commercio come l’ossitocina, impone comunque alle donne che vogliono farsi seguire in gravidanza da un’ostetrica, contrariamente da quanto previsto dalla direttiva europea, di avere una certificazione preventiva di un medico o ginecologo: “Ma questo è un paradosso. Se noi possiamo seguire la gravidanza fino al parto, siamo in grado anche di stabilire fin dall’inizio se la donna sta bene. Eppure oggi le assicurazioni non rimborsano le visite specialistiche con noi. Per questo il Coordinamento Ostetriche per il Parto a domicilio Regione Lazio ha chiesto, con una petizione, una nuova legge regionale”.

Ma il fronte sul quale chi pratica e difende il parto in caso è più impegnato oggi è soprattutto quello della diffusione di una cultura del parto attivo e a domicilio ancora avversata da ginecologi e neonatologi, che si sono espressi negativamente sulla decisione della Regione Lazio di rimborsare parte delle spese del parto. “Il nostro Paese non è pronto per questa pratica”, ha detto il Presidente della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia Paolo Scollo. “Le donne dovrebbero avere meno di trent’anni e avere una gestazione perfetta e comunque bisognerebbe che ci fosse un’ambulanza a disposizione per tutta la durata del travaglio. Inoltre il parto in casa va contro la nostra battaglia per ridurre i punti nascita e chiudere le strutture sotto i cinquecento parti all’anno che non sono sicure”.

“Siamo d’accordo anche noi con la chiusura di centri nascita poco sicuri, ma questa politica non c’entra nulla con il parto in casa”, risponde Arena. “Noi ostetriche siamo assolutamente in grado di far fronte alle prime emergenze ma soprattutto è diverso il modo di condurre il parto: oltre ad utilizzare metodi non farmacologi per la riduzione del dolore, in casa si evitano tutta una serie di interventi che possono produrre complicazioni, dall’induzione all’anestesia. Non è vero poi che occorra un’autoambulanza fuori dalla casa, non accade in nessun paese, neanche in Olanda dove il parto in casa viene praticato nel trenta per cento dei casi. Infine, noi crediamo che tutte le donne, non solo donne giovanissime o wonder woman possano partorire in casa. Tranne per le gravidanze a rischio, ovviamente, che noi sappiamo ovviamente individuare”.

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