Il polverone sollevato con gli arresti in merito al Mose mettendo insieme episodi di corruzione con episodi di finanziamento illecito non giova alla causa della giustizia ma, a mio parere, denuncia, se mai ve ne fosse stato bisogno, il fatto che i problemi in Italia hanno perso una duplice direzione: da una parte, sicuramente, la necessità di un repulisti generale dal cesto delle mele, di quelle, tra le tante sane, che sono andate in malora e che rischiano, andando avanti così, di far buttare via anche il resto. Dall’altra di una riforma della giustizia che possa evitare, in futuro, i processi in sede di indagini e ripristinare il giusto corso di processi in sedi più appropriate e con strumenti punitivi di maggiore efficacia in termini di deterrenza.

Il carcere, questa capacità, l’ha persa da tempo: sono lontani gli anni in cui la disapprovazione sociale scattava per il solo fatto di essere condannati. Men che meno il carcere è vissuto come vergogna. Il carcere rappresenta uno spiacevole sipario tra la vita agiata di prima e il ritorno ad analoga vita agiata, dopo.

Colpire i colletti bianchi nelle ragioni del loro agire criminale, la ricerca spasmodica di ricchezza, appare essere l’unica e ragionevole punizione capace di rallentare, se non di fermare, questa insensata corsa all’arricchimento sulle  spalle di chi non ha nemmeno più il fiato per alzarsi la mattina.

E’ bene che capisca la politica che la criminalità dei colletti bianchi ha spessore deviante ben più corposo di quella che sono soliti combattere alimentando ire e disperazione da parte di chi si sente quotidianamente indifeso. Ed è altrettanto bene che capisca la politica che il populismo forcaiolo di cui certo pensiero si fa incivile  interprete, è figlio diretto di quell’alimentazione, e da tempo gli si è ritorto contro.  

Sappiamo che buoni avvocati, talvolta periti ben pagati, edulcoreranno enormemente pene e anni di galera nell’eventualità che i recenti protagonisti di reati politici finanziari siano ritenuti colpevoli. Sappiamo, anche, che semmai venisse fuori che alcuni di coloro arrestati o sbeffeggiati fossero innocenti nessuno pagherà tale incivile trattamento.

Sappiamo tutto ma non sappiamo che l’unico efficace deterrente sarebbe quello di prospettare ai sicuri colpevoli un futuro di povertà. Alla pari della mafia e alla pari di tutti coloro la cui unica ambizione pare essere l’arricchimento con mezzi  illeciti.

Sia fatta una norma che moltiplichi per due o per tre la confisca di quanto rubato. Si ipotizzi che titoli di studio altisonanti, frequentazione di alte società e agio già esistente, siano aggravanti che vanificano il bilanciamento con le varie attenuanti. Si dia un giudizio severo in merito a identità normative di persone che hanno, pur in presenza di tutti gli strumenti per comprenderle, abbandonato ogni  remora verso la legge e la normale regolamentazione di condotte e comportamenti.  

Tutto questo lo si faccia, però, non all’indomani di un arresto ma il giorno in cui un processo volgerà verso la parola fine.  

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