L’Europa avanza, seppure lentamente, mentre l’Italia procede a passo di gambero. A confermarlo i dati Eurostat sul primo trimestre, che arrivano proprio mentre il Centro studi della Confindustria fa il conto di morti e feriti sul campo di battaglia della crisi. Nel primo trimestre del 2014, è il calcolo dell’istituto europeo di statistica, il Prodotto interno lordo dell’area euro è aumentato dello 0,2% rispetto al saldo degli ultimi tre mesi del 2013, mentre il Pil dell’Unione europea a 28, secondo i dati dell’Eurostat in seconda lettura, ha registrato un incremento dello 0,3 per cento. Un andamento che, su base annua, fa registrare un’incremento dello 0,9% al Pil dell’eurozona e dell’1,4% per la Ue a 28. Dati che non trovano riflesso alcuno nella situazione italiana dove nel primo trimestre il Pil è arretrato dello 0,1% portando la contrazione annua allo 0,5 per cento. 

Intanto dai dati del Centro Studi di Confindustria emerge un quadro piuttosto desolante sulla situazione del Paese. Che parla di una “massiccia erosione della base produttiva” per il manifatturiero italiano, con una contrazione di oltre 100mila fabbriche e quasi 1 milione di addetti tra 2001 e 2011, “proseguita nel biennio successivo: altri 160mila occupati e 20mila imprese perduti”. E così l’Italia, superata dal Brasile, è scivolata dal settimo all’ottavo posto nella graduatoria dei Paesi produttori elaborata dal Centro Studi di Confindustria, che parla anche di “demeriti domestici“.

Sei anni prima la Penisola occupava il quinto posto nella stessa classifica. Del resto, con un +36% dei volumi mondiali 2000-2013, Roma è “in netta controtendenza” con un -25,5 per cento. “Fa peggio proprio dove gli altri vanno meglio”, è la sintesi, anche se resta in generale “un ottimo piazzamento”, ma pesano appunto i “demeriti domestici” che hanno accentuato l’arretramento: “Nel 2007-2013 la produzione è scesa del 5% medio annuo, una contrazione che non ha riscontro negli altri più grandi Paesi manifatturieri”, notano gli analisti degli industriali. L’industria manifatturiera italiana in particolare soffre per fattori che “si intrecciano e accavallano”, come “il calo della domanda interna, l’asfissia del credito, l’aumento del costo del lavoro slegato dalla produttività, la redditività che ha toccato nuovi minimi”.

Pesano anche “i condizionamenti europei” che “certo non aiutano”: tutta l’Europa arretra ad eccezione di Germania e Polonia (“ma per quanto a lungo? si domandano gli economisti di Confindustria) per le “politiche fiscali restrittive” e “il paradosso di un euro che si apprezza, specialmente nei confronti delle valute di molte economie emergenti, e frena così il driver delle esportazioni”. In un quadro della produzione manifatturiera mondiale che “ha ripreso a crescere”, rilevano ancora gli economisti di Confindustria, “arranca l’Europa, fiaccata da politiche di bilancio, dal credit crunch e da un euro forte che rallenta le esportazioni”. L’Italia “tra tutte le grandi economie industriali appare il Paese più in difficoltà, scontando gli effetti congiunti del crollo della domanda interna e di un costo del lavoro alto”.

Anche se resta “una forte capacità di competere” e “ci sono segnali di cambiamento delle strategie delle imprese” per reagire alla stretta creditizia senza ridurre gli investimenti. Mentre la produzione manifatturiera mondiale è cresciuta del 36% nel 200-2013, “l’Italia nello stesso periodo ha subito un crollo del 25% con cadute in tutti i comparti ad eccezione di quello alimentare”. Quanto alla “classifica” dei maggiori Paesi produttori, con l’ultimo aggiornamento del Csc, nel 2013 si conferma in vetta la terna Cina, Stati Uniti, Giappone; la Germania è ancora quarta, seguita come l’anno prima da Corea del Sud e India. 

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