Quando alle ore 13 Andrés Olaya ha chiesto, con un gesto deciso, di abbassare il tono delle nostre voci per ascoltare alla radio il discorso del Re di Spagna Juán Carlos di Borbone, un silenzio pesante ha occupato le stanze dello studio professionale.   

L’abdicazione rievoca storie di altre epoche, eppure eravamo lì, fermi dentro un presente attonito, ad ascoltare le 707 parole usate dal monarca per spiegare la rinuncia alla corona in favore del figlio Felipe, Principe de Asturias.

“Mio figlio Felipe, erede della Corona, incarna la stabilità, il segno di identità dell’istituzione monarchica”, questo il passaggio chiave di un discorso d’altri tempi, una successione dinastica che è successione politica.

Poche ore dopo Barcellona ha aggiunto nuovi colori a quelli abitualmente usati per esprimere le rivendicazioni nazionaliste. Alle bandiere indipendentiste che campeggiano sulle ringhiere dei condomini sono stati affiancati drappi con tre strisce orizzontali, una rossa in alto, una gialla nel centro e la base di colore fucsia vivo.

Sono le bandiere della Seconda Repubblica spagnola, proclamata nel 1931 e terminata nel 1939 a seguito della vittoria dei franchisti nella guerra civile.

Il simbolo della guerriglia antifranchista in queste ore è tornato a sventolare tra le stradine del Born, de La Ribera o negli ampi spazi di Plaza Catalunya.

Sembra essere questa la sfida vera del successore al trono di Spagna, colui che è espressione della “incarnazione della stabilità” dovrà muoversi con equilibrio incerto tra le pieghe di un assetto istituzionale che è messo in seria discussione da una diffusa base sociale.

Sarà per questo che molti leader dei movimenti indipendentisti e dei partiti di sinistra si dicono convinti che stia per aprirsi un nuovo modello di Stato, non una semplice successione.

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