Nell’Egitto di al-Sisi, in nome della lotta al terrorismo, gli arresti arbitrari, le sparizioni e le torture sono in aumento.

All’interno della base militare Al Galaa, a Ismailia, c’è Al Azouly, una prigione segreta che ricorda i centri di detenzione delle dittature latino-americane. Lì si sparisce, si subiscono torture feroci, si muore.

Secondo le testimonianze di ex detenuti, avvocati e associazioni locali per i diritti umani, raccolte da Amnesty International, ad Al Azouly potrebbero essere state portate fino a 400 persone, detenute senza vedere avvocati e familiari e mai fatte comparire di fronte a un giudice durante la prigionia.

La prigione si trova all’interno del quartier generale del secondo comando dell’esercito egiziano. All’interno della base ci sono un tribunale militare, una prigione e gli uffici dei servizi segreti militari. La prigione si sviluppa su tre piani: il primo è riservato ai soldati in attesa di processo; nel secondo si trovano civili in attesa di processo e persone “sotto inchiesta”; nel terzo, molte altre persone “sotto inchiesta”.

Dopo essere state catturate in strada o nelle loro abitazioni, le persone sospettate di aver preso parte ad attentati o di far parte di gruppi terroristici vengono portate ad Al Azouly. Non possono incontrare avvocati né familiari e le autorità negano che siano sotto la loro custodia.

I prigionieri rilasciati da Al Azouly hanno riferito che i metodi di tortura variano a seconda del profilo del presunto criminale. Chi è accusato di aver ucciso soldati o poliziotti viene colpito con le scariche elettriche, appeso alle porte delle celle, bruciato con le sigarette e a volte frustato. Gli interrogatori si svolgono, dalle 3 di pomeriggio alle 11 di sera, nel primo piano di un edificio che dista 10 minuti a piedi dalla prigione. Poiché sono bendati, i detenuti non riescono a capire se gli interrogatori vengono condotti da agenti dei servizi segreti militari o della sicurezza nazionale.

Una volta che hanno “confessato” sotto tortura la loro colpevolezza o hanno fatto  i nomi di altre persone, talvolta al termine di interrogatori che durano mesi, i detenuti vengono finalmente portati di fronte ai magistrati che si occupano di reati contro la sicurezza dello stato. Alcuni ex detenuti hanno dichiarato di aver “confessato” qualsiasi cosa solo per uscire di prigione e porre fine alle torture. 

Ecco la testimonianza di un uomo che è rimasto 76 giorni ad Al Azouly: “Sono stato interrogato sei volte. Mi hanno denudato e colpito con le scariche elettriche su ogni parte del corpo, anche sui testicoli, e picchiato coi bastoni e gli scarponi militari. Mi hanno ammanettato dietro la schiena e appeso a una porta per mezz’ora. Durante gli interrogatori ero sempre bendato. Una volta mi hanno bruciato la barba con un accendino.  Le indagini si svolgevano da un’altra parte, negli uffici S1 e S8 [dei servizi segreti militari]. Non so chi m’interrogasse perché ero sempre bendato. Volevano sapere delle cose circa le proteste e le manifestazioni, chi era particolarmente attivo all’interno dell’università, chi aveva finanziato le proteste, chi aveva le armi, chi le aveva comprate, se io appartenessi ai Fratelli musulmani…”

E ancora: “Dopo 25 giorni di isolamento, mi hanno trasferito in una cella con altri 23 detenuti, la maggior parte dei quali venivano dal Sinai. Uno dei prigionieri aveva delle bruciature sul corpo, disse che gli avevano spento addosso delle sigarette. Ci facevano uscire dalla cella una volta al giorno, prima dell’alba, per andare in bagno, cinque minuti in tutto per 23 detenuti. Il cibo era pessimo. Alla fine mi hanno rilasciato, senza alcuna decisione giudiziaria. Mi hanno preso dalla cella e fatto uscire dal cancello n. 2 della base militare”.

Questa è una seconda testimonianza: “Sono stato arrestato a febbraio, a casa, da uomini della sicurezza in abiti civili. Mi hanno subito picchiato e poi trasferito ad Al Azouly. Mi hanno interrogato 13 volte. Ogni volta bendato, denudato, ammanettato con le mani dietro la schiena, colpito con le scariche elettriche su tutto il corpo, compresi i testicoli. Non mi hanno permesso di telefonare ai miei familiari. Allora, ho dato il loro numero di telefono a un prigioniero che stava per essere rilasciato che li ha avvisati. Un uomo che era in cella con noi, si chiamava Haj Shatewy e veniva dal Sinai, è stato torturato dalla Brigata militare 101. Gli hanno infilato un bastone rovente nell’ano e per nove giorni non è riuscito ad andare in bagno. Non lo hanno curato. È morto nella cella numero 11 del secondo piano. A maggio, alla fine delle indagini, mi hanno rilasciato”.

Naturalmente, per le autorità egiziane la tortura non esiste: al massimo “qualche errore o trasgressione agli ordini”. 

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