Immaginate uno di quei luoghi di accoglienza per profughi, uno qualsiasi, sui generis, che si allarga o si restringe, che è una stanza, un albergo, più alberghi, un ospedale, che è un quartiere (ma debordante), che è una città (una qualsiasi in Italia) e che finisce per ospitare delle creature possedute dalla compulsiva e grottesca ossessione da “educatori” e altre che (i profughi), con stravagante e sconcertante spaesamento, resistono con ogni mezzo alle pratiche “educative” messe in piedi per loro dall’AAEI, Associazione Albergatori Eticamente Impegnati

Sono proprio le strutture di accoglienza dell’AAEI, infatti, i luoghi in cui si svolgono le vicende narrate nel romanzo comico Uallai!, da poco pubblicato dalla casa editrice Nuova Dimensione. A descrivere le esilaranti vicende del romanzo è uno degli operatori dell’AAEI, o meglio uno dei suoi “educatori”, nonché alter ego letterario dei due talentuosi scrittori, Sandro Lano e Michele Brusini. Il romanzo narra di un contagiosissimo delirio, costruito su esilaranti equivoci linguistici, su estreme sfide alla logica, su un andirivieni di parole, su un coacervo di carne e stati d’animo che, oltre ad interrogare il buon senso e a provocare risate fragorose, rivelano anche il portato colto, raffinato ed etico dell’impresa compiuta dagli autori.  

La furia del grottesco e la prepotenza del paradosso sono usati infatti da Lano e Brusini per mettere in luce ciò che non piace o che non si può dire; la comicità è piegata per giocare sui contrasti, ovvero per unire confusione e illuminazione – come fanno i giocolieri quando eseguono gli esercizi con il fuoco – che serve, alla fine dei conti, a rivelare la faccia ambigua dell’accoglienza oggi, del sistema su cui essa si regge, sistema che il lettore percepisce come presenza silenziosa, dalla prima all’ultima pagina del libro. 

I bizzarri personaggi che si aggirano nelle strutture di accoglienza dell’AAEI vengono proposti nel libro con una carrellata di racconti che si susseguono, un insieme di sketches, aneddoti paradossali, in cui emergono tipologie e storie umane, dettagliatamente descritte dalla penna sarcastica e spleenistica dei due autori. Così, oltre all’ “educatore” – colui che narra in prima persona le assurde vicende dell’accoglienza dei profughi nelle strutture dell’AAEI – troviamo il suo “capo”, ovvero “il Coordinatore”, altri colleghi “educatori”, il Magnifico Rettore, le infermiere e i medici stralunati, i poliziotti distratti, la giornalista che voleva “intervistare le viscere dei migranti” e molti altri. Ma soprattutto ci sono i personaggi a cui il romanzo è dedicato: Domé ‘Oshkarpà, ovvero il profugo a cui hanno estratto “il Sahara dalle orecchie”; Antò El Fijod El Obenzinah, che, con l’aiuto determinante del Magnifico Rettore, è riuscito ad iscriversi alla facoltà di medicina, senza sapere né leggere né scrivere; Ghafiu Kalham Id Darhu, detto Alfio, che, per convincere la “Commissione” della morte di suo padre, chiedeva che quest’ultimo fosse raggiunto telefonicamente per testimoniare; e poi El Freh, Behr To’el Furehgh’in…. 

Intreccio di storie, di personaggi, di emozioni, il romanzo si rivela un magnifico bazar di energia e di amarezza, un racconto spumeggiante e stralunato. Una vera montagna russa della scrittura: passando velocemente dalla cima della citazione colta al grado zero del dialetto (dei dialetti), usato qui anche come elemento che consente di esplicitare meglio gli innumerevoli equivoci linguistici tra “educatori” e “resistenti” all’educazione. Procedendo per eccessi e paradossi, il racconto ha la forza di capovolgere i luoghi comuni, di ridere del “sacro” e addolorarsi del comico. Popolare e insieme cerebrale, il romanzo è un pugno in faccia al razzismo. Uallai!

 

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