grillo-farage-640Così no. Così non si fa. Non si elude scientificamente la domanda ‘ma siete di destra o di sinistra’ durante tutta una campagna elettorale, e non solo, con l’esplicita finalità di non restringere il bacino elettorale in cui attingere voti, per poi, con le urne ancora calde, prendere il primo volo alla volta di Bruxelles e andare ad ipotizzare accordi con Nigel Farage. Quel Farage? Quello dell’Ukip (United Kingdom Indipendence Party), il partito populista di destra nato da una compagine secessionista del Partito Conservatore britannico? Quello che ha costruito gran parte del suo consenso in patria facendo leva sull’idea che sia stata l’immigrazione a togliere il lavoro ai cittadini del Regno Unito? Quello xenofobo, omofobo e sostenitore dell’inferiorità femminile? Quello, proprio quello.

Non si fa. Non si gioca sull’ambiguità post-ideologica che destra e sinistra non esistono più (per la cronaca destra e sinistra sono due categorie del pensiero ed esisteranno sempre) per sfuggire alle etichette che circoscriverebbero il consenso trasversale, facendo scudo alla vaghezza con concetti onnicomprensivi come l’onestà e la difesa della sovranità popolare, per poi andare a sondare le convergenze con un personaggio che sull’estremismo destrorso ha fondato la propria fortuna.

Non si conclude la campagna elettorale invitando una gremita piazza San Giovanni a inneggiare a Berlinguer, ammiccando platealmente ad un elettorato di sinistra, orfano di rappresentanza, deluso dalle contaminazioni continue e dall’abulia identitaria del Partito Democratico, per poi fargli un cappottone come la scampagnata con Farage.  

I tratti approssimativi con cui il Movimento ha tratteggiato i confini della propria sagoma, la nebulosità post-ideologica con la quale ha creduto di cavalcare il terzo millennio rischia di rivelarsi il tallone d’Achille di un gruppo politico che punta al rinnovamento totale del paese attraverso una trasparenza adamantina.

Che il fine non giustificasse i mezzi è stato il cavallo di battaglia con cui Grillo ha spiegato il gran rifiuto dei Cinque Stelle a qualunque accordo con la compromessa fauna politica italiana, a partire dai giaguari bersaniani in avanti. Stupisce dunque che il mezzo diventi giustificabile ora che ad incarnarlo è il ghigno mefistofelico di Nigel Farage, che non vorrebbe dei rumeni come vicini di casa, parole sue. E stupisce altresì che questa nuova morbidezza nella ricerca di punti d’incontro con altri soggetti politici faccia la sua comparsa post delusione elettorale, quando la paura di non aver alcun peso politico in Europa (dove in assenza di un gruppo parlamentare composto da almeno 25 deputati e da non meno di 7 paesi si finisce per contare poco e nulla) improvvisamente ha la meglio sull’integrità umana e politica.

L’elettorato di sinistra che ha sperato di trovare in Grillo una possibile alternativa, una linfa nuova con cui corroborare la decadenza della struttura partitica istituzionale, questa mossa non la perdonerà. Perché essere incensurati, onesti, vigorosi, volere la legge anti-corruzione, la legge sul conflitto d’interessi, il reddito di cittadinanza, essere un’opposizione viva e propositiva è tutto molto importante, ma da che parte vira il timone è una faccenda troppo seria per non essere considerata.

Non basta nutrirsi della storia di un uomo come Dario Fo per profumare l’aria di sinistra. Al momento l’unica scatoletta di tonno che sembra essersi aperta è la testa di Grillo.

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