Extra calcio come a Robben Island, Sudafrica in epoca apartheid: utopia, riscatto, stessa tensione di libertà, echi di astrazioni Mondiali. Lì c’era Zuma, galeotto niger della Makana Football Association. Qui Lula, metalmeccanico di un Brasile ingabbiato: i futuri presidenti sono passati da qua, nella mistica calcistica disciolta in dialettica convenzional-materialistica, per vincere segregazionismo, trame di golpe e dittatura militare: “Questa non è una storia di calcio. Il calcio è appena un dettaglio”.

1982-85 il coagulo, l’amalgama a imperitura memoria. Sport Club Corinthians Paulista è un team manager sociologo, un terzino sindacalista, un centravanti ribelle e un medico, ‘Il Secco’, all’attacco col nome da filosofo greco. Socrates, padre costituente della Democracia Conrintiana, agorà pubblica da suffragio universale contro schematismi imposti e gestione autoritario-paternalistica della squadra. “Penso al calcio in termini collettivi, non individuali”, ripeteva il Dottore, poi capo equipe con saudade alla Fiorentina. “Ciò che serve al calcio è accorciare le distanze tra padrone e impiegato. Il calciatore non esiste in quanto essere umano. Non è il Socrates Football Club, ci salverà il Corinthians unito: squadra, tifosi, giocatori, dirigenti, padroni e impiegati nel clima di dialogo e comprensione reciproca che tutti sognano”.

Compagni di Stadio (Fandango Libri) è una storia diversa scritta da Solange Cavalcanti, il ricordo della Generazione Torcida vissuta nello slancio di libertà, a ritmo di samba e corporativismo lontano dal business, esorcismo da sirene carioca artefatta, oggi prodotto Mundial in pacco famiglia. “Questa non è una squadra di calcio. Questa è la storia di una rivoluzione”. Sinistra etilica, accuse di vapori marijuani e polveri in coca, sincretismo sovversivo di un’antropologia sudamericana di macumbe, stregoni, agenti segreti Cia e fucilazioni. Feticcio sociale e catarsi sul rettangolo verdeoro: “Il popolo brasiliano non è ancora pronto al voto”, sbagliava anche O Rei, Pelè. “Ha sempre funzionato. Fin dai tempi di Atene, nella Grecia Antioca”, si smarcava Socrates, al voto coi magazzinieri per acquisti, cessioni, salari, modulo di gioco e ritiri pre-gara: “Il mio voto, che sono giocatore della Selecao, vale tanto quello della terza e quarta riserva del portiere. O come il voto del nostro massaggiatore o degli uomini che si occupano degli scarpini. Quando c’è un problema, la gente si riunisce e vota”.

Paradigmi spezzati, azionariato popolare, caos organizzato e rivoluzione degli ultimi inter pares, non senza boicottaggi: “I giornalisti dicevano che era tutto un gran casino e che vivevamo bevendo birra”. Uno spirito ribelle, anarchico organizzato, convogliato da un astuto manager pubblicitario all’avanguardia nel lovemark, rafforzamento d’immagine impegnata oltre lo sponsor, un graffio sulle maglie: “Il giorno 15, vota”, “Democrazia Corinziana” Essenza socratica, lo slancio simbolico di una tenzdenza di lotta, libertà e diritti civili che, come a largo di Cape Town, anche a San Paolo ha tirato calci al pallone. “Ma non dirmi stronzate. Che sei impazzito? Che cazzo c’entra la democrazia con il calcio!?” Jorge Luis Borges avrebbe replicato così: “Tutti parlando di calcio, pochi lo capiscono nel modo giusto”.

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