Un uomo di nome Raffaele Fitto. Il più votato, un mister preferenze rimasto sulla cresta dell’onda nel momento del peggior risultato di sempre per Forza Italia. Condannato in primo grado per corruzione, ma detentore di 284mila voti personali. Unico forzista vincitore nel nulla rappresentato dal resto, soprattutto dallo sconfitto Giovanni Toti. Un uomo, insomma, che ora è la spina nel fianco più dolorosa per l’ex Cavaliere. L’altra sera, davanti al lungo tavolo della sala da pranzo di Arcore, Silvio Berlusconi, consapevole dell’avvicinarsi di un redde rationem interno al partito difficilmente controllabile, ha messo un punto fermo: “A questo tavolo mi sembra che nessuno abbia intenzione di mettere in discussione la mia leadership, se non sbaglio: i risultati sono sotto gli occhi di tutti e senza di me non so come sarebbe finita”. Fitto lo ha interrotto, parlando invece della necessità di fare subito le primarie e guardare ad nuovo partito, una frase che ha fatto schizzare la tensione alle stelle. Perché tutti, per primo il cerchio magico “delle badanti” che ormai tiene in “ostaggio” il leader, ha capito che quella di Fitto altro non era che una vera e propria “opa” lanciata su Forza Italia. 

Fitto, insomma, vuole prendersi il partito. Sennò lo spaccherà e se ne farà uno suo. Vuole lui la leadership, la pretende dopo il risultato elettorale. Pascale, Rossi, Verdini, ma persino Brunetta, Romani, la Gelmini e Deborah Bergamini sono rimasti impietriti, ma il Cavaliere ha capito subito che non dando seguito a queste richieste di riorganizzazione interna, il risultato non potrà che essere un’ulteriore balcanizzazione di un partito ormai senza bussola. Teme il complotto, Berlusconi, e ha considerato la richiesta di primarie avanzata da Fitto, come una vera minaccia. Vi ha scorto un invito implicito a farsi da parte. Ecco perché ha deciso di non dare segni di cedimento, anticipando ad oggi pomeriggio la resa dei conti nell’ufficio di presidenza di San Lorenzo in Lucina

Appuntamento al tramonto. Con un Cavaliere deciso a imporre una nuova linea; l’asse con Renzi sulle riforme non ha affatto pagato nell’urna, anzi, l’analisi del voto non ha lasciato dubbi. Ecco perché il prossimo passo non potrà prescindere da un ritorno all’opposizione dura su Italicum e riforma del Senato, nel timore – non infondato – che Renzi si prenda tutto, costruendo le nuove norme a sua immagine e somiglianza. Verdini è netto: “Meglio far saltare la trattativa tenendo la legge attuale, piuttosto che farsi fregare”. Già, Denis Verdini. Nella faida di queste ore, in palio c’è soprattutto la sua testa, sinonimo di controllo dell’organizzazione interna, che significa anche  scelta dei candidati nelle liste, ma non solo. Il segnale di un suo ridimensionamento era stata la nomina della Rossi ad amministratore di Forza Italia, ma ora il ras toscano vede vacillare anche il suo rapporto con Renzi e, dunque, preferisce il blocco di ogni trattativa piuttosto che lo strappo che potrebbe essere fatale anche – e soprattutto – al suo ruolo accanto al Cavaliere.

Un intricato gioco di scacchi e di convenienze personali, dunque, dentro quella che, vista soprattutto dall’interno, appare come il segnale d’inizio della diaspora. A Palazzo Madama, è da prima delle elezioni che si parla di una falange di 15 senatori forzisti pronti a migrare chi tra le braccia di Alfano, chi verso il gruppo misto in attesa che si chiarisca il quadro, con una nebbia che, però, stenta a diradarsi in tutto il centrodestra, a causa di tensioni, sospetti e un clima avvelenato che avvolge anche il Nuovo Centrodestra di Alfano.

Tra i “traditori” alfaniani, infatti, il clima non è migliore. Il risultato elettorale ha fatto riemergere la marginalità della compagine che, a questo punto, avrebbe bisogno di una vera leadership costruttiva, anche solo per poter pensare di non essere polverizzati nelle urne delle prossime politiche. Che, saranno pure lontane, come dice Renzi, ma vai a sapere. Ecco che, dunque, la guerra tra Alfano e Lupi (sempre più vicino a lasciare il governo per andare a Strasburgo) si è fatta intestina, con l’attuale leader che non ne vuol sapere di mollare il Viminale per dedicarsi solo al partito, come gli chiede la base. Di sicuro, c’è che un futuro “apparentamento” con Forza Italia oggi appare più lontano; il Cavaliere guarda alla Lega Nord di Matteo Salvini, non al suo ex delfino, per l’alleanza futura e la ricostruzione del centrodestra. E i pochi, veri moderati di Forza Italia, questa svolta pesante verso la destra lepenista non hanno alcuna intenzione di avvallarla. Né di digerirla causa forza maggiore; c’è un limite anche per loro.

La diaspora, dunque, è solo questione di ore. Perché oggi è il giorno della conta a San Lorenzo in Lucina. Il mandato del cerchio magico parla anche della spasmodica ricerca di un “nuovo Bonaiuti” capace di tenere sotto controllo l’informazione considerata più ostile; in gioco c’è il nuovo corso possibile, anche in senso mediatico, che per i più lucidi dentro Forza Italia non può che chiamarsi – politicamente – Raffaele Fitto, uno che anche a carichi pendenti se la può battere senza vergogna con il Cavaliere. E che, soprattutto, ha più voti di tutti, che ha salvato la faccia al partito e che ha “tenuto” strettamente in mano il portafoglio elettorale del Sud. Un Raffaele Fitto che, insomma, nelle prossime ore, potrebbe diventare il primo, vero nemico del Cavaliere. La guerra è cominciata.

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