“Mi spiace essere arrestato di sabato, così non potrò andare a votare”, si è lasciato scappare uno dei cinque arrestati, alle prime luci dell’alba, nell’ambito dell’operazione “Grande Drago“. Un’indagine, prima e un processo, poi, che “hanno comprovato per la prima volta le infiltrazione della mafia nella Bassa emiliana“, ha tenuto a sottolineare il comandante del Reparto operativo dei carabinieri di Piacenza, Luca Pietranera. L’operazione è scattata nelle province di Piacenza, Cremona e Crotone ed è stata eseguita dai carabinieri di Fiorenzuola d’Arda di questa insieme al nucleo investigativo del reparto operativo del comando provinciale carabinieri di Piacenza e compagnia Crotone.

Che non si aspettassero la velocità nell’esecuzione degli arresti, i cinque appartenenti al clan della ‘ndrangheta cutrese del Grande Aracri ai quali erano state confermate le condanne in Cassazione, lo dicono alcune considerazioni alle quali si erano lasciati andare e che avevano fatto temere i militari su un loro tentativo di fuga. “Penso che lunedì parto”, si era lasciato scappare uno di loro intercettato, con un italiano incerto. Mentre un altro, colto di sorpresa in mattinata, ha quasi scherzato: “Mi spiace essere arrestato di sabato, così non potrò andare a votare”. Ora potrà farlo dal carcere. Così sono finiti in manette i condannati, con le accuse di associazione a delinquere di stampo mafioso, finalizzata al traffico di droga, alla detenzione illegale di armi comuni e da guerra, alle estorsioni, alla violazione della normativa in materia tributaria in relazione a fatturazioni inesistenti, al riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite. Un’associazione, secondo l’accusa, con ramificazioni in almeno sei province – PiacenzaBresciaVeronaNovaraCremona e Reggio Emilia – composta essenzialmente da persone originarie di Cutro, anche se da tempo residenti al nord Italia. “Una conferma delle ipotesi investigative dei carabinieri piacentini,” hanno commentato i vertici dell’Arma.

La certezza di infiltrazioni mafiose nella Bassa emiliana era già venuta alla luce nel 2002, anno in cui scattò la maxi­operazione che portò a 28 arresti condotti dal personale del Nor (Nucleo operativo regionale) unitamente a quello del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Piacenza e l’ausilio persino di un elicottero a Monticelli d’Ongina. Tre di loro erano ancora residenti nel Piacentino (a Monticelli) e uno è stato persino prelevato al castello di Rivalta, dove soggiornava da qualche tempo, uno altro a Cutro e l’ultimo nel Cremonese.

Nel 2011 in Appello, a Bologna, le condanne per associazione mafiosa inflitte dal tribunale di Piacenza nel 2008 erano state ridimensionate: erano infatti arrivati tre anni e tre mesi ad Alfonso Mesoraca, due anni e nove mesi a Francesco Lamanna, due anni e due mesi a Gennaro Pascale, un anno e sei mesi a Carmine Pascale (che ha usufruito dell’indulto, ndr), due anni e tre mesi ad Antonio Villirillo e due anni a Gianluca Amato. A Roma, però, il ricorso in Cassazione è stato respinto. Smontate, quindi, le tesi degli avvocati del collegio di difesa (Luigi Colacino, Antonio Voce, Fabrizio Salviati) che avevano provato a sostenere che non vi fossero elementi per affermare l’esistenza di una cosca composta da quelle persone, richiamando in proposito la pronuncia dei giudici del riesame di Bologna e quella dello stesso Tribunale di Piacenza che l’aveva già esclusa; così come prive di valore sarebbero state le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Angelo Salvatore Cortese che all’epoca dei fatti contestati agli imputati era detenuto. La cosca, a quanto pare, esisteva eccome. Operava sotto la copertura di imprese edìli ed era specializzata nelle estorsioni ai danni di locali notturni e nel traffico di stupefacenti. Al termine delle formalità di rito gli arrestati venivano associati presso le Case Circondariali di Piacenza, Cremona e Crotone

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