L’ennesimo barcone avvistato al largo di Lampedusa. Le storie di disperazione lasciate al di là del mare, insieme a un enorme pezzo di cuore.  Il sovraffollamento dei centri di prima accoglienza. Un po’ mi portavo dietro questa immagine la prima volta che sono entrata in quel palazzo dell’Ama, a Roma Sud. Ma una volta arrivata nelle stanze dei laboratori, è immediatamente scomparsa dalla mia mente. Qui si trova infatti il quartier generale di Refugee Scart, un progetto molto singolare che vede come protagonista indiscusso un piccolo gruppo di rifugiati politici.

Nato da una costola della Spiral Fundation Onlus e patrocinato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, Refugee Scart si pone come punto di passaggio tra l’assistenza umanitaria e l’introduzione del rifugiato nel tessuto sociale. Non gode di alcun finanziamento e si regge solo sulla passione e la fatica quotidiana di Marichia, Helga, Piero e Rita, i quattro volontari che dall’inizio supportano e guidano i partecipanti al progetto. «La maggior parte dei rifugiati arriva dall’associazione Laboratorio 53», mi racconta Helga, francese trapiantata in Italia da qualche anno. «Per noi, ogni persona che poi va via è un grande successo, perché significa che è riuscita a introdursi nel mondo del lavoro». Come ha fatto Iacuba, un giovane che ha trovato impiego come cameriere, o come Kamara, che è diventato carrozziere e ora lavora in Belgio, o come i due fratelli assunti come sarti, pochi mesi fa, in una camiceria a nord di Roma.

rifugiati-riciclo-1La maggior parte di loro arriva da vari paesi africani, come la Guinea, il Burkina Faso, il Ghana. E in questo posto trovano la forza e la voglia di rimettersi davvero in gioco, insieme alla dignità che temevano perduta durante il viaggio della speranza. Si attivano così per recuperare la plastica, la carta, le camere d’aria, tutti materiali di scarto che, nelle loro mani, risorgono a nuova vita e diventano parte integrante di una borsa, di un bracciale, di una lampada o di un bicchiere. Riscoprendo la bellezza della creatività, ognuno porta con sé i colori della propria terra, le esperienze di vita, la voglia di rinascere e al contempo di rendersi utile alla collettività. C’è Bouba, uno dei veterani del gruppo, che offre la sua ventennale esperienza sartoriale e insegna ai nuovi arrivati le tecniche del cucito. E c’è il giovane Jean-Baptiste, che si cimenta nella creazione di cestini, vasi e portariviste colorati. Poi c’è Seckou, un passato da commerciante di abiti in Guinea, che qui si è specializzato nella creazione di collanine e tappetini, mentre Mbengue si dà da fare nella stiratura di plastica e carta e mi mostra sorridente la foto del figlio di due anni, che ha visto solo una volta. Dal 2011 a oggi, la loro attività, insieme a quella degli altri artigiani che sono passati di qui, ha portato al riciclo di quasi otto tonnellate di plastica nella Capitale e ha permesso di mandare anche piccoli aiuti economici alle famiglie. Il 100 per cento dei proventi delle vendite va infatti direttamente agli artigiani, i quali, dall’estate del 2013, hanno scelto di destinare il 30 per cento dei guadagni all’aiuto dei migranti del Poliambulatorio Mobile di Emergency a Castel Volturno. Un esempio di solidarietà che mi ha davvero colpita.

rifugiati-riciclo-2Il progetto di Refugee Scart incontra però delle difficoltà: prima tra tutte, proprio quella di vendere. Nonostante infatti gli artigiani partecipino a mercatini e fiere, riuscendo talvolta a ottenere delle piccole commissioni, tuttavia entrare nella rete commerciale è molto difficile e manca quella linearità degli ordini che permetterebbe prima una stabilità e poi una crescita. «Il Comune potrebbe fare tanto in questo senso»,  mi confida Piero. «Se, ad esempio, commissionasse per i suoi eventi i gadget dei nostri artigiani, garantirebbe il lavoro non solo a loro, ma anche ad altri dieci ragazzi».  Altra questione riguarda poi il recupero dei materiali riciclabili. Non sempre è infatti semplice la raccolta di plastica e carta: essenziale sarebbe allora la collaborazione attiva del tessuto sociale, attraverso il coinvolgimento costante di supermercati, negozi di quartiere e cittadini comuni. Accrescere il numero di rifugiati attivi, e di conseguenza garantire maggiori contributi positivi all’ecologia cittadina, è il sogno dei volontari e degli artigiani di Refugee Scart. Nei loro sguardi si legge la forza e la voglia di farcela, al di là dei momenti di scoraggiamento. «Il domani è sempre un punto interrogativo», mi conferma Helga. «Ma noi speriamo sempre che da una goccia ne possano nascere due».

 

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