“Avevo 22 anni quando ho deciso di andare via dall’Italia”. Ada Plazzo, 34 anni, napoletana, vive in Spagna ormai da sette anni. A Barcellona ha creato un centro che, già dal nome, è tutto un programma: Ama l’Italiano. “È un’associazione non solo per gli italiani residenti a Barcellona, ma anche per gli spagnoli che vogliono avvicinarsi alla cultura italiana”. Insieme alla sua collega e socia Michela D’Auria – lei cagliaritana e con la stessa passione per le lingue e l’insegnamento di Ada – propone corsi di italiano per spagnoli, ma anche viaggi culturali in Italia e una serie di eventi legati al Bel Paese: cinema, musica, teatro, cucina. “Forse già allora era meglio fuggire – racconta Ada – se sei uno studente fuori sede, poi, andarsene è più facile”.

Della facoltà di Lettere a Roma Tre ricorda solo un gran pasticcio: “Facevo lezione di Filosofia a Castro Pretorio e Drammaturgia a Repubblica – dice sorridendo. – Poi sono andata in Erasmus a Heidelberg, in Germania, e non sono più tornata. Ho finito l’università lì anche perché la stessa facoltà mi ha dato possibilità di mantenermi con un lavoro e un contratto regolare e retribuito che viene riservato agli studenti”. Insomma tutta un’altra cosa, rispetto ai lavori da cameriera fino alle 5 del mattino. A Barcellona, dopo aver lavorato per la Camera del Commercio del Perù, l’italiana approda nel 2006, quando vince il concorso del Ministero degli Affari Esteri per lavorare come insegnante presso l’Istituto italiano di Cultura (IIC): 32 ore settimanali e 2 anni di lavoro. “A dire il vero, ho provato a tornare in Italia. Ho vissuto per un po’ in Veneto, ma sono scappata di nuovo. Non riuscivo a trovare nulla di stabile, e il mondo della scuola è insostenibile: tra concorsi che non si fanno, punteggi su punteggi e classi. Ero stanca di andarmi a procacciare ore e accettare compromessi lavorativi”. 

Di certo, però, l’esperienza all’IIC di Barcellona non è stata idilliaca. Dopo un contratto di lavoro en prácticas, che in italiano sarebbe come a dire “tirocinio”, rinnovabile per un massimo di 2 anni, nonostante ci fosse domanda di insegnanti, l’Istituto le ha chiuso le porte, pronto già a ricevere nuovi “tirocinanti”. Così, Ada e Michela, già amiche o colleghe, decidono di crearsi un futuro da sole: “Abbiamo avuto diritto ad un sussidio di disoccupazione locale che ci ha permesso di riflettere sulla situazione e di non tirarci indietro di fronte alle porte chiuse che fino al giorno prima ci avevano lasciato aperte, ed abbiamo dato vita ad un progetto nostro con l’obiettivo di poterci offrire un lavoro, di collaborare e migliorare la diffusione della lingua e della cultura italiana a Barcellona dove avevamo deciso di fermarci”, ricorda l’esperta di lingue. “Soprattutto all’inizio della nostra attività, abbiamo cercato di instaurare un dialogo ed un’aperta collaborazione con l’IIC presentando progetti integrativi, offrendoci di espandere o curare degli aspetti poco considerati. Purtroppo, però, le nostre proposte non hanno neppure mai avuto risposta”. Una realtà complessa quella dei docenti precari negli Istituti Italiani di Cultura e ilfattoquotidiano.it si è occupato degli insegnanti nelle sedi di Bruxelles e Parigi

Poco importa. Oggi Ama l’Italiano dà lavoro a 5 insegnanti, tutti italiani, e una stagista. Organizza corsi ma anche attività parallele. L’ultima in ordine di tempo è una giornata di pizzica e tarantella, con tanto di profilo storico e ballerina professionista del settore. “Cerchiamo di dare voce ai tanti artisti italiani che vivono a Barcellona, a maggior ragione adesso che la crisi si sente. Qui l’esodo per la disoccupazione è quello che ha vissuto l’Italia dieci anni fa. Ma non mi vedo coinvolta. Sono partita da zero e tutto quello che è venuto l’ho costruito con fatica”, dice Ada con fierezza. Poi conclude: “Tornare in Italia? L’Italia è il mio lavoro, la porto con me tutti i giorni. Forse riuscirò a vivere a Napoli, un giorno, ma non adesso. Oggi non ti offre nulla”.

Twitter @si_ragu

Articolo Precedente

“In Svezia vendo Made in Italy e studio. Gli stagisti nel Bel Paese? Manodopera gratis”

next
Articolo Successivo

Brasile, nelle favelas di Rio. “Ero stanca della ‘Milano da bere’. Ora sono felice”

next