Cannes, si fa sul serio: Naomi Kawase e i fratelli Dardenne incassano applausi e puntano alla Palma. Per i registi belgi non è una novità: due quelle già in bacheca, per Rosetta (1999) e L’enfant (2005). Ancora a secco la regista nipponica, scoperta proprio sulla Croisette nel ’97 con la Caméra d’Or a Suzaku, Grand Prix nel 2009 con Mogari no Mori: “Dopo questi riconoscimenti, non c’è che la Palma d’Oro. Senza alcun dubbio, Still the Water è il mio capolavoro, ed è la prima volta che lo dico”.

Insomma, come si traduce in giapponese “mettere le mani avanti”? Ma parrebbe proprio l’anno della Kawase, una aficionada ricambiata della Croisette, e la presidente di giuria Jane Campion non dovrebbe ignorare il suo delicato romanzo di formazione, ambientato sull’isola di Amami – un’altra richiesta d’attenzione? – e spiritualmente allacciato alla storia d’amore di due adolescenti, Kyoko e l’incantevole Kaito. La palpebra vacilla, ma tenere gli occhi aperti – la nostra fila alla sala Debussy era la bella addormentata – paga. Still the Water è quel che Terrence Malick avrebbe voluto intendere con The Tree of Life e To the Wonder, ma con una sostanziale differenza: è un film riuscito, un poema visivo e animista che congiunge mare, cielo, terra senza santini new age, l’iconografia massimalista e la programmaticità oleografica dell’americano.

Qui c’è la vita, lo Sturm und Drang, la fusione panica con la Natura che passa dallo sgozzamento di una capra, dall’accompagnamento musicale verso la morte, dalla ritualità di passaggio, con Kyoko e Kaito che scampano al tifone per nuotare nudi e liberi in un nuovo L’Atalante: siamo vicini a Le meraviglie della Rohrwacher, vedremo che deciderà Madame Campion. Se sarà femmina, la 67 esima Palma, loro ci sono, altrimenti il turco bello ed estenuante Winter Sleep di Nuri Bilge Ceylan o Mr. Turner di un altro impalmato (Segreti e bugie, 1996), l’inglese Mike Leigh, che raccontando il pittore fa mirabilmente art pour l’artiste. Oppure i soliti Dardenne, che con Two Days, One Night incastrano la Sandra di Marion Cotillard tra padrone e colleghi: riduzione dell’organico a sue spese oppure la rinuncia al proprio bonus, per che voteranno i compagni di fabbrica? Pare un interrogativo da elezioni europee, ma i Dardenne spianano la Via Crucis della precarietà senza rinunciare alla speranza: “Abbiamo provato a raccontare come la solidarietà che incontra Sandra e il sostegno del marito trasformino questa donna, che alla fine può dire ‘ mi sono battuta, ora sono felice’. Sì, pensiamo si possa essere solidali ancora oggi: almeno, il film afferma questo”. Ma come?

La radicalità stilistica di Rosetta & Co. non abita più qui: i fratelli si son dati una calmata, Il ragazzo con la bicicletta ha fatto scuola, l’iterazione dei colloqui di Sandra con i colleghi è tutto, la doppia iperbole barbiturico-coniugale ce la saremmo risparmiata. Ma sono ancora loro, e sono ancora da premio. È tramonto, viceversa, per il cinese Zhang Yimou, che nonostante nome e cognome, più l’avvenente Gong Li, lascia semivuoto il Grand Théatre Lumière per Gui Lai (Fuori Concorso): quest’anno la Cina non è di casa, non è di Cannes. Fuochi d’artificio a Un Certain Regard: ressa e spintoni per l’esordio alla regia del divo Ryan Gosling, che in Lost River mette la fidanzata Eva Mendes, la maggiorata Christina Hendricks, qualche plateale scopiazzatura (Nicolas Winding Refn, e come altrimenti?) e troppa carne – Barbara Steele – al fuoco. Della serie, vorrei ma non posso: provaci ancora Ryan, ma prima un bagno d’humilité. Nel caso, può rivolgersi a Wim Wenders che gira a quattr’occhi con il figlio del fotografo star Salgado The Salt of the Earth: nulla da eccepire, coppia d’assi. Ma noi abbiamo la regina di cuori Sophia Loren, che sulla Croisette cala il tris: Matrimonio all’Italiana restaurato, Voce umana del figlio Edoardo Ponti e oggi la Master Class. Nel nome di Mastroianni, che giganteggia sul poster del festival: “Che bello che c’è anche lui!”. Sì, Marcello Cannes Here!

Dal Fatto Quotidiano del 21 maggio 2014

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