“La gente pensa che io faccia questi piani a beneficio dei mercati finanziari, ma è un aspetto irrilevante. Il piano serve a definire obiettivi impegnativi e a stabilire una direzione. Quindi non cavillate se vendo 400mila Alfa o 382mila”. Sono le parole che Sergio Marchionne rivolge ai giornalisti durante una visita ad una nuova fabbrica di trasmissioni nello stato americano dell’Indiana, raccolte dall’agenzia Reuters. L’amministatore delegato di Fiat-Chrysler risponde così ai dubbi che molti analisti hanno sollevato sulla fattibilità dell’ambizioso piano industriale presentato dieci giorni fa, che prevede la produzione di 7 milioni di veicoli nel 2018 contro i 4,4 milioni del 2013. E, per quanto riguarda l’Italia, la promessa di 400mila Alfa Romeo costruite in Italia entro il 2018, partendo dalle 74mila vendute l’anno scorso.

Il sentimento prevalente nella stampa americana ha due facce: da una parte la grande fiducia in Marchionne – considerato credibile perché è stato capace di salvare la Chrysler dalla bancarotta e di restituire il debito verso il Governo americano – accompagnata da un certo scetticismo sulla fattibilità finanziaria del suo piano, che richiede il sacrificio degli investitori (per tre anni, è già stato annunciato, non ci saranno dividendi) e “un’esecuzione perfetta” da parte di tutti i marchi, come ha ammesso lo stesso amministratore delegato.

In un editoriale intitolato “FCA può farcela? Meglio non scommettere contro Marchionne”, per esempio, la rivista specializzata Automotive News esprime la sua ammirazione per il manager italo-canadese che, “con la sua presenza e le sue maniere anticonvenzionali, cattura l’attenzione dell’industria automobilistica mondiale come nessun altro sa fare” e che “ha l’audacia di dare così tanti dettagli sulle iniziative future”. Nonostante questo, secondo la testata americana “lo stile personale non può nascondere quanto difficile sarà per Fiat-Chrysler raggiungere gli obiettivi” perché “ci sono dubbi sulla possibilità del costruttore di raccogliere i fondi di cui ha bisogno”. 

Oscillano fra fiducia e dubbi anche gli analisti della IHS Global Insight, che considerano il piano solido e logico per quanto riguarda il posizionamento dei marchi e l’analisi dei diversi mercati mondiali. “D’altro canto, la volontà di Marchionne di mettere i freni al programma piuttosto che di investire capitali serve poco a mantenere l’azienda in salute e significa anche che il piano potrebbe subire ritardi”. In riferimento all’Alfa Romeo, IHS sostiene che “con un obiettivo di 400mila auto l’anno e una gamma di prodotto molto più contenuta rispetto a quelle dei marchi BMW, Mercedes e Audi a cui punta, il marchio ha bisogno di diventare aggressivo per rubare clienti a brand affermati. Dato che molti dei modelli Alfa non arriveranno prima del 2016, l’obiettivo temporale di Marchionne è ottimistico”.

In Italia, lo scetticismo è legato piuttosto ai frequenti cambi di programma cui il manager italo-canadese ci ha abituati negli ultimi anni. Certo, però, che se l’ambizioso piano di Marchionne andasse in porto così com’è stato presentato lo scorso 6 maggio a Detroit, la produzione in Italia aumenterebbe notevolmente. Stando alle promesse, dovrebbero essere prodotte in Italia tutte le Alfa Romeo (400mila esemplari l’anno nel 2018), le Maserati (75mila), la piccola Suv Jeep Renegade e la sorella 500X (circa 150mila unità, entrambe a Melfi). Inoltre continueranno a essere costruite in Italia, almeno fino al cambio di generazione, la Panda (a Pomigliano) e l’Alfa Romeo Giulietta (a Cassino). In questo modo, il 40% della produzione italiana sarebbe destinata all’esportazione.

Secondo Marchionne, è sensato costruire in Italia i modelli dei marchi “premium”, ovvero di lusso, per cui l’etichetta “made in Italy” vale il costo della nostra manodopera: stiamo parlando di Ferrari, che manterrà costante la produzione, e di Maserati ed Alfa Romeo, per le quali i volumi dovrebbero quintuplicare nel giro di cinque anni. Nel dettaglio, dovrebbero essere prodotti in Italia ben sette nuovi modelli Alfa, fra cui due Suv già annunciate anni fa e mai realizzate (nella foto sopra, la concept Kamal del 2003), in arrivo fra il 2016 e il 2018. Inoltre la Maserati integrerebbe nella sua gamma oltre alla Suv Levante, già anticipata dall’omonima concept car nel 2011, anche una sportiva con motore V8 chiamata Alfieri (nella foto in basso, la concept), in versione coupé e cabrio.

Se da un lato guadagna Alfa Romeo e Jeep, la produzione italiana perde però l’erede della Punto, che secondo Automotive News Europe sarebbe una sorta di grande 500 a cinque porte (potrebbe chiamarsi 500 Plus) costruita sulla piattaforma della 500 a Tychy, in Polonia. Anche l’erede della Bravo non sarebbe assemblata in Italia, ma in Turchia, dove già nasce la berlina a tre volumi Linea per i mercati emergenti. Altra perdita, l’Alfa Romeo MiTo, per cui non è prevista un’erede.

 

Articolo Precedente

L’auto che guida da sola sempre più vicina. Google e Volvo la testano in città

next
Articolo Successivo

General Motors, maxi multa da 35 milioni di dollari per il ritardo nei richiami

next