Il G8 di Genova non finisce mai, nel ricordo delle vittime, ma anche per chi cerca semplicemente di capire. Io che non credo ai complotti, ad esempio, ho sempre escluso che le devastazioni dei black bloc, il pestaggio dei pacifisti, l’omicidio di Carlo Giuliani, la mattanza della Diaz, le torture di Bolzaneto, potessero far parte di un piano preordinato; anche di Bolzaneto, come tanti, pensavo che gli abusi fossero stati gravissimi, ma isolati. Ho dovuto cambiare idea leggendo un libro appena uscito: Gridavano e piangevano. La tortura in Italia: ciò che ci insegna Bolzaneto (Einaudi, 18 euro), autore Roberto Settembre, il giudice estensore della sentenza d’appello su Bolzaneto, poi confermata in Cassazione.

Leggendolo, non ho capito subito perché il libro dedichi quasi duecento pagine – l’intero capitolo terzo – a riportare le dichiarazioni delle vittime, registrate negli atti processuali. Perché, mi chiedevo, soffermarsi così minuziosamente su quei tre giorni di orrore: violenza per violenza, umiliazione per umiliazione? Solo per mostrare che, in qualsiasi paese civile, dove il reato di tortura è pacificamente previsto dai codici, quei reati sarebbero stati giudicati come torture e non sarebbero andati in prescrizione, com’è invece accaduto per gran parte degli abusi di Bolzaneto? Ma allora non bastava sceglierne due o tre, i più rivoltanti, e poi cercare di spiegare il resto, tutta questa successione di violenze apparentemente gratuite?

Poi ho capito. Intanto, era un dovere verso le vittime: i quasi trecento torturati – italiani e stranieri, uomini e donne, vecchi e giovani, sani, feriti o disabili – passati per Bolzaneto senz’essere colpevoli di nulla, visto che 273 su 277 sono stati assolti in altri processi, e ai quali l’autore ha voluto ridare la parola. Ma poi si doveva documentare che a Bolzaneto il ricorso alla tortura non è stato episodico, ma sistematico: se è vero che persino gli agenti che hanno cercato di aiutare le vittime hanno dovuto farlo di nascosto, perché superiori e colleghi non se ne accorgessero.

Certo, l’autore non può dire, e di fatto non dice, che ci fossero degli ordini precisi, un piano studiato a tavolino per stroncare il Movimento: un giudice parla solo attraverso gli atti processuali, e lì gli ordini e il piano non ci sono. Ma il lettore, lui, non può proprio fare a meno di riflettere che forse non è un caso se, dopo Genova, non ci sono più state grandi manifestazioni no global.

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