È cristiana ma per la legge la sua religione dev’essere quella del padre. Ha sposato un cristiano. Nel suo paese, il Sudan, i matrimoni inter-religiosi sono vietati, dunque il suo è nullo. Ergo, ha commesso adulterio, poiché con l’uomo ha avuto due figli (il secondo sta per nascere, in carcere). E poi è apostata, perché continua a proclamarsi cristiana.

Arrestata a febbraio dopo la segnalazione di un parente, Mariam (o Meriam, a seconda delle traslitterazioni) è stata condannata il 15 maggio a 100 frustate perché adultera e all’impiccagione in quanto apostata. Le hanno proposto di pentirsi e “tornare” all’Islam in cambio di una pena più lieve, ma lei ha rifiutato.

Ci sono 15 giorni di tempo per salvare Meriam. Entro quel lasso di tempo verrà esaminato il ricorso dei suoi legali. Se andrà male, si attenderà il parto. Poi, le condanne potranno essere eseguite.

Dal 1991, anno in cui è entrato in vigore un codice penale fortemente ispirato alla shari’a, nessuna persona è stata messa a morte per apostasia. Alcuni hanno dichiarato di aver abbandonato la loro fede per salvarsi la vita.  Altri sono stati salvati grazie agli appelli internazionali.

Amnesty International ha lanciato sul suo sito www.amnesty.it un appello in cui chiede alle autorità sudanesi di annullare le condanne e rilasciare Mariam, che è una prigioniera di coscienza perseguitata solo per la sua fede religiosa.

Aggiornamento delle 15:30. Nonostante alcune dichiarazioni del Presidente della Corte Suprema, secondo il quale non ci sarebbe nessuna intenzione di applicare la legge della shari’a nei confronti di Meriam, l’appello di Amnesty International rimane valido fino ad annullamento formale della condanna attraverso una sentenza. 

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Meriam non si è convertita all’Islam: condannata a morte. Poi la retromarcia

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