da Copenhagen
L’Eurovision Song Contest si è chiuso con la vittoria annunciata della drag queen austriaca Conchita Wurst, che ha letteralmente trionfato in terra danese. Non si tratta, però, di una drag classica, visto che fa bella mostra di sé, a corredo di una silhouette esile e fasciata da abiti strettissimi, una curata ma evidente barba prettamente maschile. Un personaggio che, al di là del motivo per cui ha fatto da subito parlare di sé, può contare anche su una voce possente e una canzone (Rise like a phoenix), che si apre al momento opportuno, coinvolgendo emotivamente il pubblico. 

Vittoria annunciata, si diceva, anche se qualcuno temeva che qualche paese europeo magari meno aperto di mentalità rispetto all’ospitale e accogliente Danimarca, avrebbe potuto rovinare la festa alla delegazione austriaca. Visibilmente emozionata al momento della premiazione, Conchita è tornata velatamente sulla questione omosessuale lanciando il grido: “We are unstoppable“, subito trasformato in hashtag di tendenza su Twitter.

A rappresentare l’Italia c’era Emma Marrone, attesissima dai suoi numerosi fan, che però si è dovuta accontentare di un deludente (e onestamente inatteso) ventunesimo posto. È andata peggio del previsto (l’obiettivo era entrare in top 10), anche perché quella di quest’anno è stata una delle edizioni musicalmente più interessanti degli ultimi tempi.

Pronostici rispettati anche per gli altri due gradini del podio, con la bella ballata olandese al secondo posto e la solita Svezia al terzo. Fanalino di coda, con un solo punto racimolato, la Francia.

Come sempre accade, vincere l’Eurovision Song Contest non è solo questione di musica. Esiste una evidente trama diplomatica tra paesi confinanti o tradizionalmente amici allo scopo di premiarsi a vicenda. Senza questi incroci politico-musicali, l’Eurofestival non si vince. Ed è proprio quello che è mancato alla nostra Emma Marrone. Basti pensare che San Marino non ha premiato la cantante salentina nemmeno con un punto, tanto da scatenare le ire dei suoi fan sui social network contro la piccola repubblica del Titano.

L’unico 12 della serata (che è il punteggio più alto attribuibile da ogni paese), Emma lo ha ottenuto da Malta, che ha rispettato le regole del buon vicinato molto meglio rispetto agli amici sammarinesi.

Incroci geopolitici decisamente più seri sono stati quelli tra Russia e Ucraina. La coppia di giovanissime cantanti russe è stata fischiata più volte nel corso delle serate della manifestazione, anche se il boicottaggio anti-russo, qui all’Eurofestival, ha anche altre radici. Si tratta della manifestazione più amata dalla comunità gay e negli ultimi anni, peraltro non senza motivo, la Russia di Putin è il diventata il nemico numero uno.

Dal punto di vista dello spettacolo, ancora una volta l’Eurovision si conferma una macchina perfetta, organizzata con una professionalità più unica che rara, e con un ritmo televisivo spedito e senza fronzoli. Il contrario di quanto accade a Sanremo, insomma. E forse è da ricercare nella voglia della Rai di preservare il carrozzone polveroso sanremese, la causa per la quale l’Eurovision non riesce a prendere piede nel nostro Paese. Dal ritorno italiano nella manifestazione (siamo stati assenti dal 1998 al 2010), musicalmente siamo riusciti a presentare il meglio delle giovani star di casa nostra: Raphael Gualazzi, Nina Zilli, Marco Mengoni e Emma Marrone. Eppure l’entusiasmo stenta a montare, mentre nel resto d’Europa l’Eurovisionmania è a livelli altissimi.

Vedremo se il prossimo anno, nella vicina Austria, riusciremo a rifarci. Ma vincitori o meno, quello che conta è che l’Italia si faccia coinvolgere da un grande evento che entusiasma, comprensibilmente, centinaia di milioni di persone in tutto il continente.

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