Uno scatto in automobile mentre guida assieme a Fidel Castro, un altro scatto con cappello di paglia tra i contadini mentre fa scivolare i chicchi di grano da una mano all’altra, un altro scatto ancora ad un comizio vecchia maniera con megafono e palchetto improvvisato tra gli operai. Sono i frammenti fotografici che ritraggono il presidente cileno Salvador Allende presenti nella mostra “Cile 1973. Da Allende alla dittatura nei documenti della Fondazione Feltrinelli” che fino al 31 maggio sarà visitabile alla libreria laFeltrinelli di Porta Ravegnana a Bologna. Organizzata in un percorso visivo e documentale composto da foto, locandine, vignette satiriche, pagine di giornali dell’epoca, la mostra tocca le varie fasi della storia contemporanea cilena: l’elezione di Allende, le politiche del governo di Unidad popular, la destabilizzazione interna, il golpe, la repressione sotto il regime militare fino al referendum del 1988 che segna l’inizio della transizione alla democrazia.

“Attraverso immagini e fonti originali tratte dall’archivio della Fondazione Feltrinelli“, ha spiegato Carlo Feltrinelli, presidente della fondazione omonima che in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università degli Studi di Napoli orientale e la Fundación Salvador Allende di Santiago del Cile ha organizzato l’iniziativa, “abbiamo ricostruito la storia, le diverse dinamiche politiche e le influenze internazionali legate al Cile di Allende e al violento avvento della dittatura sulla giovane democrazia cilena. Feltrinelli editore ha sempre guardato con un occhio di riguardo alla produzione culturale sudamericana, e cilena in particolare, ma attraverso la documentazione storica e documentale della Fondazione vogliamo rinnovare la memoria e portare all’attenzione dell’Italia di oggi anche il rapporto speciale che legò il nostro paese al Cile di Allende”. 

Eletto il 4 settembre 1970, sotto le insegne della coalizione di sinistra Unidad Popular, Salvador Allende dichiarò nell’immediato: “La rivoluzione non implica distruggere, ma costruire, non implica demolire ma edificare; e in quest’ora cruciale della nostra vita il popolo cileno è pronto per il grande compito che ci attende”. Una grossa fetta di cileni, soprattutto tra i meno abbienti, cominciò subito ad amare quello che soprannominerà “compañero Presidente”. La classe imprenditoriale lo detestò invece per l’aumento dei salari, la concreta redistribuzione dei redditi e il congelamento del prezzo dei beni di prima necessità, senza dimenticare una decisa politica di nazionalizzazione delle miniere di rame, delle industrie e dei latifondi stranieri che portò perfino alla resistenza armata dei ricchi latifondisti e all’occupazione delle terre da parte di migliaia di contadini. Anche se ciò che provocò una repentina caduta del governo delle sinistre cileno fu il suo avvicinamento alla Cuba di Fidel Castro e ad una sovranità nazionale riconquistata con l’allontanamento delle potenze industriali straniere sotto le insegne delle multinazionali a stelle e strisce. Fu proprio la Casa Bianca a opporsi alla rinegoziazione del debito estero cileno spingendo gli organismi internazionali a non concedere nuovi crediti, boicottando il rame sui mercati mondiali, affiancando le proteste dei ceti medi e degli industriali del paese, portando nel giro di poco tempo il governo Allende al collasso. Fine drammatica a cui contribuì, l’11 settembre 1973, uno dei più sanguinari e tragici colpi di stato a marca Cia della storia.

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