Claudio Scajola è finito in manette per altruismo. È surreale. Ma sembra sia andata proprio così. Ha fatto un favore a un amico, senza ottenere nulla in cambio. Non l’ha neanche chiesto, pare. Così, come si dice, a gratis.

Al netto delle intercettazioni e dei gravissimi capi d’accusa, colpisce che un politicante di lungo corso e molto pelo –  figlio di un notabile Dc, sindaco di Imperia ad appena 34 anni, sulla poltrona prima occupata sia dal padre sia dal fratello, dopo pochi mesi già nelle patrie galere per appalti a Sanremo – in trenta anni di carriera sia finito indagato per ogni tipo di ruberia e traffici vari, persino anfore romane trafugate e poi ritrovate nella sua abitazione, uscendone sostanzialmente indenne e inciampi in una sorta di cortesia. Ogni volta è finito inquisito e ogni volta per un tornaconto personale.

Che fossero case pagate da altri (vista Colosseo) o case ampliate da altri (la villa a Imperia), appalti per l’aeroporto e i voli ad personam ad Albenga o il porto turistico di Imperia, in tutte le inchieste che hanno coinvolto l’ex ministro dell’Interno (sigh) lui aveva un margine di guadagno, un benefit, un utile. Eppure si è sempre salvato da tutto. Persino dalla casa pagata a sua insaputa. Scajola ne è sempre uscito indenne. Anche quando sembrava impossibile ed era dato per spacciato, lui risorgeva.

E per cosa finisce in manette? Per aver aiutato un amico. Come se Berlusconi, per dire, venisse arrestato per aver aiutato Dell’Utri. Per quarant’anni.

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