Negli ultimi giorni le Alpi sono state teatro di diversi incidenti mortali in montagna. Vittime sono stati scialpinisti esperti: Daniele Vottero Rei e Fabrizio Jacob al Canalone di Lourousa, nel Massiccio dell’Argentera e Mario Monaco alla Pointe Charbonell, in Francia. Tra l’altro Fabrizio Jakob era un mio compaesano e mi fa rabbrividire vedere il manifesto funerario in cui si ricorda la sua grande passione per la montagna, ma anche quelli che oggi lo piangono. Mario Monaco era uno dei migliori scialpinisti estremi al mondo, e vantava, tra l’altro, la discesa integrale del Cho Oyu, senza ossigeno, dalla cima.

Perché parlo di queste morti? Beh, innanzitutto per un omaggio a queste persone. E poi anche per fare una piccola riflessione, a cui mi aspetto che chi mi legge possa portare qualche contributo (spero non del tipo “se la sono cercata”). Un blog non dovrebbe servire a questo?

La storia dell’uomo è sempre stata una sfida nei confronti dell’ignoto e un continuo tentativo di elevare conoscenze e limiti. Inutilmente la grecità introdusse il concetto di Ubris per indicare il superamento dei limiti da parte dell’uomo per avvicinarsi agli dei. Che poi puntualmente lo punivano.

Lionel Terray, uno dei maggiori alpinisti del secolo scorso, scrisse un libro con un titolo esemplare: I conquistatori dell’inutile, riferendosi appunto alla categoria degli alpinisti. L’alpinismo è una delle attività umane in cui più si esemplifica questa volontà di andare oltre, oltre i limiti propri e quelli generalmente conosciuti. Si pensi solo alle salite senza ossigeno degli ottomila della Terra. Ed è anche quella attività in cui in più breve tempo, anche grazie ad evoluzione di tecnica e materiali, i limiti si sono spostati più avanti nel breve volgere di solo circa un secolo e mezzo. Ma è anche una di quelle attività in cui spostare i limiti, conquistare, non porta pressoché alcun beneficio al genere umano.

Negli ultimi decenni però questo spostamento dei limiti ha subito una accelerazione pazzesca. Alex Honnold scala pareti vertiginose senza corda. La Via Sendero Luminoso, in Messico, è equivalente ad un 7b+ ed è alta 500 metri. Sì, ha lo sponsor, ma non lo fa per lo sponsor, lui è così. Gli piace, ne trae soddisfazione.

Gli alpinisti che sono morti in settimana praticavano lo sci estremo. Che significa buttarsi giù con gli “assi” o con la tavola lungo itinerari che solo fino a venti, trenta anni fa era motivo di orgoglio risalire con piccozze e ramponi. È una pratica in cui basta il minimo errore, ma anche i minimo imprevisto (la pietra che cade o la placca da vento che si stacca) per morire. E chi scia lo sa bene. Anche loro lo facevano per pura soddisfazione personale. Molti di questi sciatori dell’estremo non riportano neppure le loro imprese sui social network. Si viene a conoscere la notizia solo per il passaparola. Questo per dire che sono assolutamente scevri dal desiderio di notorietà.

Ed è a questo punto che mi viene da fare una considerazione che non ha la pretesa di essere una risposta a questo fenomeno, me ne guardo bene. Ma se l’uomo vivesse in pace con la natura, se riuscisse in ipotesi a trovare un equilibrio fra sé e il mondo che lo circonda, avrebbe ancora questo impulso alla sfida verso se stesso ma anche, tutto sommato, verso la natura? Non è un caso che si continui a parlare di vittoria sulle montagne della terra.

Non so, è una suggestione, chiamiamola così, che butto lì. Attendo commenti.

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