Il suo nome è Francesco Wu. È arrivato in Italia all’età di otto anni, nel 1989, quando la sua famiglia decise di trasferirsi a Milano, lasciandosi alle spalle una Cina ancora prettamente rurale e chiusa ai mercati.

Oggi, all’età di trentatré anni, Francesco Wu ha una laurea in ingegneria elettronica al politecnico di Milano con quattro anni di esperienza lavorativa nel settore, e da circa cinque anni è il proprietario e gestore del ristorante Al borgo antico di Legnano insieme a suo fratello Silvio. È inoltre il fondatore dell’Uniic (Unione imprenditori Italia-Cina), il presidente di Associna Lombardia, nonché il primo imprenditore straniero nel direttivo della Confartigianato Alto Milanese.

Interpellato sulle difficoltà di gestione di un’attività commerciale, Francesco Wu denuncia gli stessi problemi di qualunque altro lavoratore della categoria: “Una burocrazia lenta e complicata, un costo del lavoro molto alto e una pressione fiscale pesante. Inoltre, il fatto di avere origini straniere mi ha portato a lottare contro i tanti pregiudizi della gente, che a volte lasciava il locale dopo aver visto che i proprietari erano cinesi. Ma ci è bastato poco tempo per dimostrare le nostre capacità, e oggi la nostra attività è una di quelle che lavorano meglio ed è sempre in crescita, anche in questi anni di crisi. Una dimostrazione di come, dando il buon esempio, si possa anche cambiare la mentalità delle persone”.

Il segreto di questo successo? “Un’efficienza di gestione che ricollego in gran parte alle mie origini cinesi – spiega. Inoltre, puntiamo sulla qualità dei prodotti, un ambiente accogliente e uno staff professionale, a cui si aggiunge una buona capacità di fare marketing, forse data dalla nostra giovane età e da una laurea che ci ha certamente aiutati. Basti pensare che, nonostante il buon fatturato, il precedente proprietario del ristorante aveva grosse difficoltà, tanto da fare fatica a pagare i fornitori. Gli siamo subentrati tenendo gli stessi grossisti e la stessa qualità dei prodotti, e nonostante quel 20% di perdita fisiologica data dal cambio di gestione, fin da subito siamo riusciti a pagare i nostri debiti puntualmente e oggi fatturiamo persino di più, pur avendo anche migliorato la qualità delle forniture”.

La strategia? “Per il primo anno abbiamo contrattato coi fornitori chiedendo uno sconto in cambio di una garanzia di acquisti cospicui e pagamenti puntuali, e con quel 7-8% di riduzione siamo riusciti a risparmiare parecchio. Inoltre abbiamo modificato il contratto con la banca, soprattutto per ridurre la commissione sui pagamenti per bancomat e carta di credito, e anche lì siamo riusciti a ridurre notevolmente i costi. Abbiamo poi cambiato compagnia di energia elettrica e gas, ad esempio sfruttando il fatto che le attività commerciali non paghino le accise su quest’ultimo prodotto, e pure lì siamo riusciti a diminuire le spese. C’è stata inoltre più lungimiranza negli acquisti e il numero di dipendenti è stato ridotto di due persone, puntando sulla professionalità piuttosto che sulla quantità, e ovviamente il risparmio è stato notevole. Quindi oggi abbiamo solo tre dipendenti, e per il resto ci siamo io e mio fratello, che logicamente siamo quelli che lavorano di più”.

Nonostante i venticinque anni passati in Italia e un’attività che genera reddito e lavoro, Francesco Wu non ha però ottenuto il riconoscimento della cittadinanza. “Per acquisirla da maggiorenne devi aver accumulato almeno tre anni di reddito – afferma – ma al periodo in cui ero riuscito a maturare i requisiti necessari ho acquistato il ristorante. Un investimento che ha azzerato il mio reddito e mi ha quindi impedito di concludere la pratica, che spero di portare a termine adesso che le mie condizioni economiche sono più stabili. Un sistema estremamente macchinoso, che spero il nuovo governo Renzi riesca a risolvere, perché oltre allo ius soli credo si debba tener conto anche di chi è cresciuto in Italia e si è costruito una vita qui”.

Un’altra cosa che Francesco Wu non riesce proprio a comprendere sono i luoghi comuni che gli italiani hanno nei confronti della Cina: “Sono stereotipi di persone ignoranti che hanno bisogno di spiegarsi il successo dei cinesi, magari ricollegandolo ai rapporti con la mafia o altre sciocchezze simili. In realtà la spiegazione ce l’hanno in casa: lavorare tanto, fare poche ferie e risparmiare su tutto, proprio come facevano gli italiani nel Dopoguerra. Conosco persone che in una vita di lavoro, economizzando le spese su cibo, vestiario e viaggi, sono riusciti a mettere da parte anche 50.000 euro. A quel punto, se te ne servono altri cinquanta per comprare un’attività, basta fare affidamento sull’aiuto di amici e parenti, soprattutto quando hai famiglie molto numerose. Funzionava così anche in Italia prima che la mentalità cambiasse…

Bisogna solo capire che la realtà è molto più complessa di come sembra e che le generalizzazioni sono nemiche della verità, anche quando si trattano casi come quelli di Prato e dei laboratori tessili cinesi, su cui ho anche pubblicato un articolo per mettere in luce alcuni elementi di cui raramente si tiene conto”. 

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