r maroneDa qualche anno gli orti urbani non sono solo un argomento sempre più diffuso di interesse e discussione sui media, ma anche realtà concreta in espansione anche da noi, in Italia.

Gli orti, costituendone l’aspetto più vicino alla vita di chi quotidianamente abita le città, sono la manifestazione più evidente della ruralità urbana, un fenomeno di dimensione ormai planetaria.

La ruralità urbana, a seconda dei contesti nei quali ha luogo, può essere sinonimo di agricoltura urbana, e dunque orti, e piccole e medie aziende, ma può riguardare anche altri modi di ibridazione della vita urbana con quella rurale.

“Ruralità urbana” sarebbe stato un ossimoro fino a qualche anno fa, ma oggi la coppia di termini serve a definire le profonde trasformazioni che stanno avvenendo su più piani, da quello fisico a quello simbolico, nel rapporto tra città e campagna; trasformazioni che potrebbero, in pochi anni, portare a cambiare radicalmente gli spazi che abitiamo.

Negli anni Ottanta si studiavano e si prefiguravano nuovi assetti per le cosiddette “aree dismesse”, in genere suoli su cui si trovavano complessi industriali in disuso. Da allora, non solo molte di quelle aree da “dismesse” sono divenute “abbandonate”, ma ancora altri spazi e manufatti in abbandono, di svariate dimensioni e tipologie, punteggiano sempre più le città, come pure i grandi spazi aperti.

Lo sviluppo di forme diverse di ruralità urbana può essere uno tra i modi di cominciare a ridare vita a tante aree ed edifici in stato di abbandono: porzioni coltivate di suolo possono costruire tessuti connettivi tra parti urbane oggi slegate e, insieme a manufatti di servizio a quelle stesse parti, possono disegnare brani inediti di paesaggio contemporaneo.

E non si tratta solo di portare la campagna in città, ma anche di innescare una dinamica in qualche modo inversa, inventando altri abitare.

Non è un luogo comune pensare che la rete sta cambiando anche le relazioni tra le persone reali, i corpi e i luoghi fisici. Certi siti, una volta percepiti come “remoti”, oggi lo sono molto meno. Innestare caratteri, propri fino a pochi anni fa alla condizione urbana, su complessi rurali abbandonati o quasi che si trovano in aree di valore ambientale, culturale, insediativo è possibile e può disegnare un futuro vitale, sotto molti aspetti.

Uno sguardo alle ghost town italiane restituisce il fenomeno dell’abbandono – in certi casi, solo attesa di trasformazione – nella dimensione dello spazio geografico.

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