Crescita lenta e nessun impatto immediato dal taglio dell’Irpef. Debito pubblico che tocca un nuovo picco sfondando il 135% del Pil. Un disavanzo strutturale più alto di quello previsto dal governo Renzi nel Documento di economia e finanza. E la disoccupazione ancora in salita. Le stime economiche di primavera della Commissione Ue vedono l’Italia ancora in mezzo al guado. Ma non riescono a guardare molto lontano perché, semplicemente, i dettagli delle misure che l’esecutivo intende adottare nel 2015 non sono ancora noti e non lo saranno fino all’approvazione della Legge di Stabilità, in autunno inoltrato. Il che, però, fa gioco al ministro Pier Carlo Padoan, che – a Bruxelles per la riunione dell’Eurogruppo – coglie la palla al balzo e replica: se il deficit strutturale calcolato dalla Ue è diverso dalla previsione del governo “la ragione è che non tiene conto delle politiche intraprese”. A partire dal taglio dell’Irpef, che secondo il responsabile ad interim degli Affari economici, Siim Kallas avrà un “effetto neutrale” (che è come dire pari a zero) nel breve periodo, ma  potrebbe effettivamente incidere in positivo nel lungo termine “se sarà finanziato” migliorando “l’efficienza della spesa”, cioè con la famosa spending review. Abbastanza perché il titolare del Tesoro possa dire che, certo, servirà tempo, ma “la direzione è giusta”. In serata, però, a richiamare l’Italia sui “compiti a casa” ancora da fare ci pensa il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, che ammonisce: i Paesi dell’Unione europea con squilibri macroeconomici eccessivi, tra cui il nostro, “devono fare di più e ne sono consapevoli”. 

I numeri di Bruxelles vedono il Pil italiano salire dello 0,6% per quest’anno – contro il +0,8% previsto nel Def – e salire dell’1,2% il prossimo (+1,3% nel Def), mentre confermano il deficit al 2,6% nel 2014 e 2,2% nel 2015. La disoccupazione segna invece un nuovo record: 12,8% quest’anno e 12,5% il prossimo. Dati confermati anche dall’Istat, un pò più pessimista sulla crescita del 2015 (1%) e più ottimista sul tasso dei senza lavoro (12,7% e 12,4%). Resta però ancora alto l’allarme della Ue per l’andamento del debito, che nel 2014 toccherà il nuovo record del 135,2% del Pil per poi scendere a 133,9% nel 2015 grazie ad avanzo primario, crescita e privatizzazioni previste nella seconda parte del 2014. Ma il governo aveva già detto, para il colpo Padoan, che “il debito quest’anno sarebbe aumentato e il prossimo sceso”. Per questo non c’è nulla di cui preoccuparsi, anche perché “visto il surplus primario e la crescita in aumento, il costo del debito in riduzione, tutto aritmeticamente indica che la riduzione del debito ci sarà forse più rapidamente di quanto pensiamo”. Il vero tasto dolente è però, appunto, il deficit strutturale, cioè quello corretto dalle variazioni imputabili alla congiuntura: i commissari Ue lo danno allo 0,8% del Pil quest’anno e allo 0,7% il prossimo, mentre il Def indica 0,6% per il 2014 e 0,1% per il 2015, rinviando come è noto il pareggio strutturale del bilancio al 2016. Rinvio sul quale la Commissione esprimerà il giudizio finale il 2 giugno, quando pubblicherà le proprie raccomandazioni. L’ok non è scontato, tanto che Sergio De Nardis, capo economista di Nomisma, commenta: “Per l’Italia l’esame non sarà una passeggiata”. 

A dar corpo agli auspici di Padoan sulla crescita, che prendendo vigore dovrebbe remare a favore del rispetto dei parametri Ue, arriva però in giornata un rapporto Istat sulle prospettive per l’economia italiana nei prossimi due anni. Un documento speculare a quello europeo, insomma, ma con spunti di maggiore ottimismo: per quest’anno si prevede una – seppure timidissima – ripresa dei consumi dopo una sfilza di ribassi lunga tre anni: +0,2% nel 2014, +0,5% nel 2015, +1% nel 2016. Un’inversione di rotta, dunque, anche se minima. D’altra parte c’è tanta strada da fare per recuperare quanto perso sotto i colpi della recessione. Una mano arriva dalla bassa inflazione che, combinata con un piccolo aumento del reddito (i famosi 80 euro in busta paga tornano così al centro della scena), ridà fiato al potere d’acquisto. Ma, sottolinea l’istituto di statistica, la spinta arriva più dalla ripartenza degli investimenti che dallo shopping delle famiglie. 

Le stime sulla crescita dell’eurozona, le cui basi diventano “più ampie”, si confermano all’1,2% per il 2014. Leggermente rivisto al ribasso, invece, il dato del Pil per il 2015, ora all’1,7% contro l’1,8% stimato a febbraio. Per l’Ue-28, stime all’1,6% nel 2014 e al 2% nel 2015. Cala ancora l’inflazione, che scenderà dall’1,3% del 2013 allo 0,8% nel 2014 mentre solo nel 2015 risalirà all’1,2%, meno dell’1,4% previsto precedentemente. Preoccupa la situazione della Francia, che mancherà l’obiettivo di riduzione del deficit nonostante i tagli senza precedenti introdotti da Parigi. L’anno scorso l’Ue ha dato alla Francia una tregua concedendole due anni supplementari – fino al 2015 – per portare il disavanzo al di sotto del 3% del prodotto interno lordo (Pil). 

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