Premetto che non sono un tifoso né un esperto di calcio. Sono un ex adolescente italiano e pertanto nel mio passato si annoverano abbonamenti alla squadra locale, trasferte, qualche volta avventurose con la tifoseria organizzata e qualche volta meno, molteplici ore investite nell’osservazione partecipe di trasmissioni televisive ormai desuete e approfonditi studi circa le condizioni psicofisiche di coetanei tatuati in vista della redazione perfetta di una squadra del fantacalcio.

I recenti accadimenti della finale di Coppa Italia si prestano ad osservazioni in merito ai gruppi (o, come preferisco, alle ‘gruppalità’) coinvolte nello show di sabato sera e alle reazioni emotive di superficie che attengono allo sdegno e alla benpensante indignazione.

Le gruppalità coinvolte sono molteplici, a una prima analisi elencherei le seguenti:
– Tifoseria “familiare” presente allo stadio;
– Tifoseria del divano di casa;
– Forze dell’ordine;
– Dirigenti delle forze dell’ordine, della lega calcio e delle squadre in finale;
– Calciatori in campo;
– Tifoseria organizzata, i cosiddetti ultras;

Queste gruppalità sono relativamente omogenee al loro interno per tipologia di membri e per interessi nel merito dell’evento, fermo restante che il gruppo dei tifosi dovrebbe prioritariamente essere concentrato sull’esito dell’incontro. Proverò con semplicità, forse con superficialità e certamente con un po’ di ironia, a elencare una serie di possibili “interessi alternativi” delle gruppalità coinvolte che, sebbene probabilmente secondari, contribuiscono alla genesi dei fenomeni che abbiamo potuto osservare.

La tifoseria “familiare” allo stadio ha l’interesse di dare un senso alla serata investita, alla fila fatta per parcheggiare, all’investimento economico per essere presente, alla pizza con figli e amici saltata per l’immancabile evento: vuole che si giochi per evitare che tutto ciò debba ripetersi.

La tifoseria del divano di casa si attende che la spesa fatta in pizze, pop corn, bevande e vettovaglie di genere vario, sms organizzativi abbia un senso e che le agognate gioie e frustrazioni condivise vengano celebrate: vuole che si giochi perché la speranza di una bella serata non venga frustrata.

Le forze dell’ordine hanno l’interesse di tornare a casa il prima possibile e magari senza lividi, occhi rossi da fumogeni e con la cute non interrotta da segni di fendenti: vogliono che si giochi perché “poi chi li seda gli scalmanati arrabbiati?”.

I dirigenti a vario titolo anelano una partita, sarebbe altrimenti necessario riorganizzare turni di lavoro, straordinari, calendari di campionati o coppe, ferie dei calciatori: vogliono che si giochi perché il lavoro in più non fa piacere a nessuno.

I calciatori agognano un match “la prima settimana di luglio in Costa Smeralda c’è la festa della Santanchè, ho promesso alla velina che non saremmo mancati”: vogliono che si giochi perché le ferie sono sante e perché a fine stagione le gambe fanno male.

Resta il gruppo degli Ultras. Intercettare i loro desideri è più complesso. Si muovono magmaticamente spinti da intense passioni, ragionano come massa più con la pancia che con la testa, alternano autentica rabbia per presunti torti subiti dai membri (arresti, tentati omicidi e altre amenità) con più prosaici interessi (i ben informati dicono di ordine economico) nell’interazione con le società sportive. Vengono visti spesso come un pericolo, come dei sobillatori, dei violenti, insomma gente poco raccomandabile. Non sono prevedibili: vogliono essere protagonisti, si giochi o non si giochi.

A quanto emerge da questa rapida disamina tutte le gruppalità coinvolte tranne una hanno lo stesso obiettivo: giocare la partita. Il paradosso è che perché ciò avvenga l’unico gruppo che non ha il medesimo interesse specifico ha il potere di decidere se ciò accada o no.

E’ domenica: i giornali sono gonfi di discussioni sociologico-calcistiche e nei bar, davanti a un cappuccino, si dibatte con zelo e stizza perché un capo ultras ha acconsentito allo svolgimento del match, ma se posso scrivere stamane con ironia di cose serie è merito di San Gennaro della curva A. Quando un presunto cattivo decide secondo i desideri di tutti accade così, ma questo è un altro articolo.

Germano Fiore

@sunballo

Articolo Precedente

Figli, insieme solo per loro?

next
Articolo Successivo

Quel monarca assoluto di nome Google News

next