Quando si parla nuovamente di “Bologna metropolitana”, a qualcuno potrebbe venir voglia di mettere mano alla pistola… Già, è facile ironizzare su uno dei progetti di riforma istituzionale più discussi, pubblicizzati, ruminati, espulsi e rimasticati degli ultimi venticinque anni.

Da “fiore all’occhiello” della Bologna di Walter Vitali, primo sindaco eletto direttamente dai cittadini con la nuova legge maggioritaria, passando per il non tanto, gentile accantonamento del municipalissimo Giorgio Guazzaloca, fino all’oblio di Sergio Cofferati, che aveva poco interesse a confrontarsi su temi che forse considerava marginali: tanto che Beatrice Draghetti non si dava pace, lei che avrebbe voluto preparare seriamente il progetto al tavolo interistituzionale confezionato all’uopo con Comune e Regione e che andava sistematicamente deserto per assenza degli altri due (maggiori) attori.

Per non parlare dell’allergia grave che la sola parola “metropolitana” provocava nei sindaci di Imola, i quali non avevano alcuna remora a dire che – nel caso si fosse andati avanti nel progetto – loro avrebbero semplicemente cambiato strada (cioè, Provincia).

Ora, però, le cose sono cambiate e – sotto il cielo di Matteo Renzi – anche l’inimmaginabile diventa realtà: un decreto e, oplà, le province sono accantonate (attenzione: non sciolte!), perdendo la funzione elettiva e vengono, di fatto, regalate ai maggiori comuni di riferimento. Nel nostro caso Bologna diventa automaticamente città e provincia, non si sa ancora bene con quali competenze effettive, le notizie al riguardo sono ancora scarne e, come si sa, le transizioni nel nostro torpido Paese possono durare secoli…

Nel dolce stil novo fiorentino, anche il roccioso granducato imolese scioglie le riserve e proclama per bocca del sindaco Daniele Manca che “si può fare” la città metropolitana a guida meroliana, essendo in formato light è la formula giusta. In effetti, dal punto di vista elettorale e politico non cambia niente, ogni comune continua a eleggere i suoi sindaci, ogni autonomia grande, media, piccola e microscopica è garantita, e il lavoro grosso, nel senso di mediare le diverse esigenze spetta al sindaco di Bologna che, per questo, si fregia del titolo di “metropolitano”.

Interroghiamoci su succede da questo punto di vista sul piano concreto: ad esempio, i piani urbanistici comunali detti Psc chi li redige? È evidente, in questo caso ancora il comune interessato, prima c’era la supervisione della provincia perché comunque i comuni dovevano riferirsi al Ptcp, piano territoriale di coordinamento provinciale: adesso quale soggetto controllerà la congruità dei piani con gli indirizzi provinciali o meglio metropolitani? Quale autorità avrà il sindaco di Bologna di intervenire sui piani degli altri comuni? Nessuno, temo, e questo non farà correre rischi di “fughe in avanti” di separatismi opportunistici? Sono questioni da comprendere per tempo, chi se ne sta occupando?

Altro settore cruciale, l’ambiente: l’assetto idrogeologico, le troppe frane, i fiumi, la fauna selvatica che invade i campi e i cacciatori che sparerebbero anche ai passerotti, sono temi ad alto contenuto tecnico e che richiedono una conoscenza ampia del territorio e una forte specializzazione. La provincia ha acquisito nel tempo molte competenze e i servizi operativi nel territorio vasto sono essenziali, come nel caso della protezione civile che deve intervenire in tutte le emergenze, ricordiamo la difficile situazione dopo le forti nevicate degli anni scorsi. Per gestire bene queste attività occorre uscire “dalle mura” e dal “quadrilatero”.

Se invece queste responsabilità sono semplicemente aggiuntive rispetto ai compiti precipui del sindaco e della sua giunta che deve occuparsi dell’area urbana (e già questa tra centro e periferie presenta problemi e diversità che vanno gestite), non si corre il rischio di indebolire fortemente un settore strategico e delicato per i fragili equilibri del territorio?

Una domanda a questo punto sorge spontanea: perché per realizzare un progetto strategico così impegnativo, in un territorio come quello bolognese in cui la cultura di governo e il rapporto con i cittadini sono stati sempre l’elemento distintivo dell’agire politico si deve escludere l’elezione diretta del sindaco metropolitano? Perché non associare alla riforma dell’ente provincia, anche la riorganizzazione delle municipalità (quartieri) della città, ripensandoli in funzione del nuovo territorio, dove i confini amministrativi non coincidono con quelli geografici, conferendogli l’effettiva autonomia che oggi non hanno?

Perché, al tempo stesso, non si mette in cantiere un processo di accorpamento dei comuni, soprattutto quelli della montagna, per dotarli attraverso il decentramento di funzioni e risorse, dell’autonomia di cui avrebbero bisogno in un governo complessivo veramente metropolitano? Invece si procede – come nel caso della Valsamoggia – a fusioni decontestualizzate dalla città metropolitana, contestate dai cittadini e poco convincenti, che possono trasformarsi in un fallimento!

Insomma, si governa a tentoni, scegliendo la strada che appare più semplice perché implica il minor sforzo e il minor cambiamento possibile, mentre nello stesso tempo si pretende che il decisionismo governista sia accettato passivamente da cittadini riportati al ruolo di spettatori passivi che non devono effettivamente partecipare al cambiamento, ma accettarlo a scatola chiusa perché fidarsi è d’obbligo, dato che ogni alternativa è automaticamente esclusa.

Ecco, mi sembra che tutto ciò renda la politica sempre più un affare di pochi che gestiscono l’interesse generale nell’estraneità dei cittadini, poi non lamentiamoci se cresce l’antipolitica e il comico di turno aumenta i consensi in una società sempre più smarrita.

Bologna del resto anche dal punto di vista urbanistico, resta contraddittoriamente rattrappita, tra le ambizioni da capitale regionale e ipertrofia centripeta, intesa come espansione del solo centro murario e limitrofamente extra moenia. Basta osservare come tutti gli interventi realizzati nel tempo o in corso di realizzazione, dalla stazione di alta velocità, al nuovo quartiere al Navile, all’espansione della Fiera siano essenzialmente “riempimenti” degli spazi esistenti nell’area centrale o semicentrale della cinta urbana, anche Fico sarà poco più che una protesi del centro.

Nel frattempo l’infrastruttura metropolitana per eccellenza l’Sfm che disegnerebbe uno sviluppo dell’area vasta, è vilipesa da progetti riduzionistici che le relegano ad una funzione molto inferiore alle sue effettive potenzialità.

La città metropolitana finisce per essere un’ occasione perduta e alla fine, al massimo, si trasformerà in un dejà vu, il “paesello metropolitano” piuttosto vecchiotto.

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