Ieri si è tenuta all’Accademia Medica di Roma una interessante riunione scientifica con ampia partecipazione di pubblico dal titolo “La Medicina e la Sperimentazione Animale”. Sono state presentate relazioni su vari aspetti di un tema che ha grande rilievo sociale e politico, ma poiché di molti di questi ho già parlato in questo blog voglio in questo articolo considerarne uno solo, quello della validazione dei sistemi modello alternativi all’animale per studi farmacologici, sottolineando però che gli studi farmacologici non sono gli unici a richiedere la sperimentazione su animali.

Lo studio di nuovi farmaci richiede, per legge, la sperimentazione animale prima di procedere alle fasi di sperimentazione clinica, sull’uomo (il topo è l’animale più usato per questi studi; il secondo animale più impiegato, per numero di esemplari, è l’uomo, ovviamente nelle fasi di sperimentazione clinica). E’ però richiesto l’uso di sistemi modello prima della sperimentazione animale ed è auspicato che i sistemi modello possano essere usati per focalizzare le fasi sperimentali successive, in modo da ridurre il numero di animali necessari.

Il sistema modello può essere, ad esempio, una cultura cellulare o una cultura pluritissutale, che realizza una specie di pseudo-organo. Poiché il sistema modello non reagisce al farmaco come l’animale da esperimento, si pone il problema di costruire uno schema di corrispondenza tra la reazione del modello e quella dell’animale o dell’uomo. L’esempio che è stato suggerito nella conferenza di ieri è molto chiaro ed intendo riproporlo in questa sede: uno tra i possibili effetti nocivi dei composti testati per un futuro uso farmacologico è la pirogenicità, cioè la capacità di causare una reazione febbrile. Il test di pirogenicità si può effettuare sul coniglio, ma sono allo studio modelli alternativi basati su culture cellulari. Ovviamente una cultura cellulare non ha termoregolazione e non le viene la febbre; però le cellule in cultura possono, sotto lo stimolo del farmaco, produrre e rilasciare sostanze, quali ad es. le citochine, la cui concentrazione è misurabile. Il rilascio di citochine nell’animale si associa alla febbre e quindi una risposta di questo tipo nella cultura cellulare potrebbe indicare la possibile azione pirogena del farmaco.

Tutti i lettori avranno a questo punto intuito la complessità del problema: in quale misura la reazione del sistema modello può essere considerata predittiva rispetto alla reazione dell’animale o dell’uomo? Rispondere a questa domanda significa “validare” il modello rispetto all’uso previsto: significa cioè (nel nostro esempio) stabilire una corrispondenza almeno statistica tra l’entità della secrezione di citochine da parte delle cellule in cultura esposte al farmaco, e l’intensità della possibile risposta febbrile dell’organismo esposto allo stesso farmaco.

In ultima analisi la validazione del sistema modello, che ha lo scopo di ridurre il numero di animali da usarsi nella sperimentazione, richiede a sua volta la sperimentazione animale. Il gioco vale la candela se il numero di farmaci da testare è molto grande e la reazione fisiopatologica cercata è molto stereotipata, come nel caso della febbre; se invece lo studio necessario non è stereotipato e non consente economie di scala, la validazione del sistema modello rischia di richiedere più sperimentazione animale e di produrre risultati meno validi di quelli che si otterrebbero rinunciando al modello e lavorando direttamente sull’animale.

Anche quando le dimensioni del problema giustificano gli sforzi necessari alla validazione del sistema modello, si devono considerare due difficoltà: la prima è che gli studi di validazione del modello sono lunghi e costosi, la seconda è che non sempre hanno successo: il modello potrebbe risultare inadeguato e non essere validato. Purtroppo produrre un buon sistema modello non è semplice e non tutto quello che luccica è oro. 

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