Aveva 88 anni, al suo nome è legato un pezzo importante di storia della siderurgia italiana e, da almeno due anni, lo scandalo giudiziario che ha coinvolto il gioiello di famiglia: l’Ilva di Taranto. Emilio Riva è morto ieri sera a Milano dopo una lunga malattia (ma la notizia è stata diffusa oggi). Era lo storico patron dell’omonimo gruppo che a metà degli anni Novanta rilevò la ferriera del capoluogo ionico dall’Iri, facendola diventare la prima azienda dell’acciaio in Italia, la quarta in Europa e la 23esima al mondo. Un’ascesa apparentemente inarrestabile, così come la fama imprenditoriale della famiglia Riva, che nel 2008 entrò nella squadra dei cosiddetti patrioti che salvarono Alitalia dalla bancarotta. Nel 2012, tuttavia, inizia la discesa, almeno in termini di visibilità: le indagini della procura di Taranto mettono in luce ciò che accadeva da decenni in città, dove ambiente e lavoro, inquinamento e occupazione erano due aspetti complementari di una realtà dove non si poteva scegliere. Il 19 giugno il caso Taranto arriverà davanti al giudice per le indagini preliminari. Emilio Riva era ai domiciliari proprio a seguito dell’inchiesta sul disastro ambientale.

Con Emilio Riva se ne va uno degli ultimi ‘re dell’acciaio’ dopo Luigi Lucchini e Steno Marcegaglia, entrambi scomparsi nel 2013. Milanese dei Navigli, classe 1926, inizia la sua carriera come commerciante di rottami, insieme al fratello Adriano, con cui poi fonderà il gruppo Riva. Il “ragiunatt”, come lo chiamavano nella sua città, nel 1955 apre il primo forno elettrico delle Acciaierie e Ferriere Riva a Caronno Pertusella dove, nel 1964, installò – per primo al mondo – la macchina a colata continua. Questa innovazione permise a Emilio Riva di iniziare il suo processo di espansione: in pochi decenni diventerà uno dei primi dieci produttori mondiali del settore, vantando tra i suoi primati un fatturato per dipendente tra i più elevati del mondo (410mila Euro) e la terza posizione assoluta per ciò che riguarda le imprese italiane (di ogni settore) per il miglior rapporto tra utili e fatturato. Quello di Riva, cui fu anche conferita una laurea ad honorem in Ingegneria meccanica, divenne un vero e proprio impero: arrivò ad avere 38 stabilimenti, con oltre 25mila dipendenti e un fatturato che nel 2006 superava i 9,4 miliardi di euro. La parabola del suo gruppo e quella sua personale fu segnata dall’acquisto del complesso dell’Ilva, ex Italsider che fu venduto a Riva dall’Iri nell’aprile 1995 nell’ambito della campagna di privatizzazioni che ebbe inizio nel ’94.

Il salto dimensionale del gruppo sfocerà da ultimo nei guai giudiziari in seguito al problema ambientale di Taranto. Nel libro di Antonio Calabrò Intervista ai capitalisti (Rizzoli) Emilio Riva rifiuta l’etichetta di ‘padrone vecchio stile’: “Non sono padrone nemmeno di un cane, sono un datore di lavoro” dice. Ma poi come uncapitalista d’antan chiarisce: “Ho sempre aperto e comprato fabbriche e non ne ho mai chiusa una”. E chiosa: “Non so niente di lobby, di compromessi con la grande finanza, di salotti”. Ma in realtà Emilio Riva era il classico ‘uomo al comando’, che in azienda controllava tutto, lasciando aperti, con la sua scomparsa, molti interrogativi sul futuro dell’azienda, che conta oggi 38 stabilimenti in Italia e nel mondo (dal Canada alla Francia, dal Belgio alla Germania, dalla Spagna alla Tunisia) per la produzione di acciaio grezzo, coils, vergella, tondo per cemento armato, barre-billette laminate, lamiere da treno, tubi saldati, tubi forma e travi, che impiega circa 25 mila dipendenti e realizza un fatturato stabile attorno ai 10 miliardi di euro.

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