Sui derivati, “noi abbiamo fatto principalmente due errori. Il primo è stato quello di sottovalutare l’effetto contabile di una riduzione dei tassi di interesse (parlo del 2001 -2003) sui bilanci delle imprese che hanno usato derivati di copertura, cioè che hanno scelto di proteggersi da aumenti di tasso che non si sono verificati”. A sostenerlo era stato uno dei “padri” della commercializzazione dei derivati in Italia, Pietro Modiano, che ha guidato Unicredit Banca Mobiliare dal 1999 al 2004 e Unicredit Banca d’Impresa dal 2003 al 2004.

“Il grosso delle perdite è avvenuto su questi derivati, e solo in pochi casi su derivati speculativi, che peraltro erano estranei alle strategie di allora. Ma nei derivati di copertura c’è una trappola contabile”, aveva detto l’ex banchiere – oggi alla guida della Sea, la società che gestisce gli aeroporti di Milano, e della Carlo Tassara di Romain Zaleski – a ilsussidiario.net nel corso di un’intervista datata 27 settembre 2011. “Un individuo che è passato dal mutuo variabile al mutuo a tasso fisso, se i tassi scendono si dispiace, ma pensa che possano risalire, e sta comunque tranquillo”, spiegava. “L’impresa no: la regola contabile prevede che segni come perdite, contabilmente perdite a tutti gli effetti anche se solo potenziali, la somma delle differenze fra il tasso fisso, più alto, e il variabile, diventato più basso, per l’intera vita del mutuo. È quello che è successo nel 2003, quando assunsi la responsabilità non solo della produzione, ma anche della distribuzione”. E con i tassi in discesa, “derivati di copertura stipulati uno o due anni prima segnarono perdite anche sensibili, in funzione della durata e dell’entità della riduzione dei tassi, e da qui la necessità di ristrutturazione dei contratti per evitare al cliente il pagamento alla scadenza, quindi nuovi derivati e in alcuni casi maggiori perdite. Gli errori si concentrarono nei primi mesi del 2003. Devo dire che allora in molti rimasero sorpresi, anche perché non c’era nessuna esperienza di gestione di situazioni di questo genere, né una normativa adeguata”.

Il secondo errore “è aver sottovalutato i rischi legati a prodotti finanziari che generano commissioni non distribuite sulla vita dei titoli, ma concentrate tutte all’atto del collocamento. Parlo dei derivati, ma anche delle obbligazioni strutturate: qui il rischio, soprattutto se le reti di distribuzione non sono abbastanza specializzate, è quello di un eccesso di offerta di questi strumenti, cui ha posto rimedio solo la normativa cosiddetta Mifid, qualche anno dopo”. Il giudizio complessivo? “Sono strumenti potenzialmente utili. Poi tutto si può usare bene o male, con professionalità, con minore professionalità o addirittura con scarsa professionalità. Questo direi che sta nella natura delle cose”. Quindi, alla richiesta dell’intervistatore di un giudizio sui processi, in corso sui derivati concludeva dicendo che “bisogna giudicare caso per caso. Ci sono situazioni in cui si sono fatti errori e quindi si deve riparare”.

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