Il fondatore di Stamina Foundation, indagato dalla procura di Torino, ha ricevuto un avviso di garanzia anche dalla magistratura di San Marino: nel piccolo Stato arroccato sul Titano l’inoculazione di staminali autologhe è vietata dalla legge. Davide Vannoni non ha mai disdegnato le apparizioni in tv, ed è proprio dal piccolo schermo che è partita l’indagine della magistratura sanmarinese: quattro mesi di lavoro e due avvisi di garanzia già emessi, uno per Vannoni l’altro per l’anestesista Luciano Fungi. Non bastassero le indagini della procura di Torino e le numerose interviste televisive di quel Carmine Vona che tra i primi, aveva rivelato di essere stato sottoposto al trattamento Stamina in un centro estetico di San Marino, a gennaio Vannoni era andato in tv (Matrix) a dichiarare: “Nel 2008 a San Marino era stato costruito un laboratorio persino migliore di quello che c’è a Brescia, con l’approvazione del Consiglio di Stato sanmarinese. E lì venivano messe in cura 70 persone”. Solo in quel momento l’Esecutivo locale, che fino ad allora aveva cercato di ignorare l’affaire Stamina, aveva dovuto confrontarsi con l’esposto presentato dall’authority sanitaria: “L’inoculazione di cellule staminali autologhe è una pratica vietata a San Marino”.

L’Istituto di medicina del Benessere – L’ Imb Srl era la struttura privata con sede a San Marino in cui Davide Vannoni aveva portato i pazienti che volevano sottoporsi a pagamento al trattamento Stamina dopo il 2007. Si tratta di 70 persone e per loro veniva affittata la stanza dell’ambulatorio chirurgico. “Se guardiamo il cda dell’Imb, era una sorta di colonia democristiana” – dice il consigliere indipendente Luca Lazzari al fattoquotidiano.it – “E’ significativo in un posto come San Marino dove siamo fermi alla Prima Repubblica. La Dc (partito democratico cristiano sanmarinese, ndr) è al governo da anni”. Recentemente ha presentato un’interpellanza (ancora senza risposta) sul caso Stamina e sul coinvolgimento di due società sanmarinesi. A raccomandare Vannoni all’interno dell’Imb è stato Pietro Bugli, esponente della Dc e all’epoca direttore sanitario della struttura. “Ho consigliato Vannoni alla Imb, ma stava alla direzione della società valutare la mia segnalazione”, sostiene l’esponente politico che sul suo sito internet si definisce “medico, dietologo e vip”. “Com’è possibile che l’allora direttore sanitario dell’Imb non sapesse cosa facesse Vannoni all’interno della struttura?”, si chiede Lazzari.

Re-wind Biotech – società fondata nel 2008 con sede a San Marino, di cui Vannoni era legale rappresentante- aveva l’obiettivo di creare un laboratorio di ricerca sulle staminali mesenchimali. L’authority della Sanità di San Marino aveva però negato l’autorizzazione al funzionamento del laboratorio a causa di “criticità strutturali, impiantistiche e organizzative”. Ma per accreditarsi alla Segreteria di Stato per la Sanità (l’equivalente del Ministero della Salute), il fondatore di Stamina Foundation aveva elencato i traguardi ottenuti in Piemonte, come l’“importante finanziamento da parte della Regione Piemonte”: una somma mai incassata (dall’associazione per la medicina rigenerativa onlus) e per la quale Vannoni è stato rinviato a giudizio per tentata truffa. Elementi tanto convincenti all’epoca, da far concludere all’allora segretario di Stato per la Sanità di San Marino che le attività della Re-wind Biotech fossero “un’importante opportunità per la comunità di San Marino di collaborare con un gruppo di ricercatori in possesso di conoscenze primarie, non solo in Italia ma nel mondo”.

La magistratura di San Marino ha chiesto la collaborazione della procura di Torino: il commissario della Legge Simon Luca Morsiani ha ipotizzato per Vannoni i reati di truffa e somministrazione di farmaci pericolosi, oltre alla parte relativa ai “rapporti finanziari sottostanti” da approfondire alla luce delle indagini del pm Raffaele Guariniello, secondo cui alcuni pazienti sono arrivati a pagare somme fino a 48mila euro per accedere al trattamento Stamina. La collaborazione con la procura di Torino avrà però l’effetto di dilatare un po’ i tempi: “Per convocare una persona, visti gli accordi di collaborazione con l’Italia, mi ci vorrà circa un mese di tempo, invece che pochi giorni – spiega Morsiali al fattoquotidiano.it – Faremo ulteriori accertamenti, alla luce degli atti di Torino”.

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