Il leader del movimento Diritti civili Franco Corbelli è convinto: se avessero ascoltato i suoi appelli il piccolo Cocò sarebbe ancora vivo. Il bambino di 3 anni, Nicola Campolongo, invece, nel gennaio scorso è stato bruciato vivo, all’interno dell’auto del nonno anche lui ucciso assieme alla compagna di origini marocchine. Una tragedia consumata in Calabria, a Cassano allo Jonio, dove il nonno del piccolo Cocò era coinvolto negli ambienti del traffico di cocaina. Una vita a metà tra il carcere e le piazze di spaccio. Eppure proprio a lui, Giuseppe Iannicelli, i servizi sociali avevano affidato il nipotino perché la madre, Antonia, era detenuta.

“Il 21 dicembre 2012 – ricorda Corbelli – ero riuscito a far scarcerare il piccolo Cocò e la sua giovanissima mamma che erano detenuti nel carcere di Castrovillari. Continuo da oltre un anno ad aiutare questa famiglia. Cocò oggi sarebbe vivo se avessero ascoltato i miei appelli e avessero di nuovo concesso i domiciliari alla giovane mamma, che era stata riarrestata per aver portato il figlio e le due sorelline a vedere il papà detenuto a Catanzaro, violando così il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione”. Proprio per ricordare il bambino ammazzato assieme al nonno, a giugno è prevista a Cassano la visita di Papa Francesco.

Quella di Cocò è solo una delle tante battaglie che il movimento Diritti Civili ha condotto nei vent’anni di attività durante i quali il calabrese Franco Corbelli si è reso protagonista di numerose iniziative umanitarie “senza – sottolinea il presidente dell’associazione – aver mai chiesto una sola lira di finanziamento, né pubblico né privato”. Anzi, quando è stato eletto consigliere provinciale di Cosenza, Corbelli aveva rinunciato a tutti i privilegi e benefici (dalla segreteria al telefonino che gli aveva assegnato l’ente) e devoluto l’indennità per iniziative benefiche.

“Siamo nati nel 1994. Sono state oltre 1300 le lettere di aiuto in questi 20 anni” ha ricordato il leader del movimento che, nei giorni scorsi, per la ricorrenza ha ricevuto dalla Provincia di Cosenza il prestigioso riconoscimento di “ambasciatore dei diritti civili”. “Sono state centinaia le persone, povere soprattutto, che abbiamo aiutato e, spesso, salvato – aggiunge – Abbiamo autofinanziato le nostre battaglie civili e le iniziative umanitarie che hanno consentito di fare uscire dal carcere decine e decine di detenuti gravemente malati e diversi bambini, reclusi insieme alle loro mamme”.

Disagio che tocca anche chi non è al centro di vicende giudiziarie: il nome di Corbelli, in Calabria, è legato a quello dei due fratellini rom ciechi, Marko e Branko, che nel 2001 vivevano in una tenda alle porte di Cosenza. Dopo una lunga battaglia, è riuscito ad evitare che i due bambini fossero espulsi dall’Italia. Grazie a permessi straordinari di soggiorno, oggi Marko e Branko vivono con la loro famiglia a Rende dove possono essere curati. Storie al limite come quella della giovane nigeriana Kate Omoregbe. Nel settembre del 2011, il movimento Diritti Civili riuscì farla rimanere in Italia salvandola dalla lapidazione cui la ragazza era stata condannata nel suo Paese. L’interessamento di Corbelli evitò l’estradizione anche per la giovane Alexandrina Lacatus, che era stata condannata a marcire in carcere in Romania per la morte dei suoi tre bambini, avvenuta durante un incendio sviluppatosi per cause accidentali, mentre la ragazza era uscita per andare a comprare del latte per i figli.

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