Ma è diffidenza o semplice congiuntura economica, è miseria umana o il necessario controllo su un fenomeno di larga contraffazione? Mi sono fatto tutte queste domande non all’ennesimo convegno sull’Italia che arranca ma in un bar, in un semplice, elegante bar di Roma, quartiere Prati, media borghesia con sostanziosi innesti Rai.

Entro di buon mattino con i giornali, mi siedo per leggere un po’ e chiedo una spremuta. Il proprietario, ancorchè molto ben vestito, è per nulla simpatico. Si esprime con un romano greve e assai lontano dall’idioma popolare e schietto che ha fatto di questa città una superba rappresentante di quel modo cinico e sentimentale di interpretare la vita (vedere per credere un capolavoro come Roma di Fellini). Così, a pelle, è già discretamente insopportabile, ma poi a freddo cercherò di separare l’elemento puramente umano-antropologico, da una serena, quanto malinconica, visione delle cose.

Finito di leggere i miei quotidiani, vado alla cassa per pagare. “Una spremuta”, dico io, “tre euro e cinquanta”, mi risponde lui e sin qui le chiacchiere stanno a zero. Ho pagato una spremuta anche meno in altri bar della zona, ma erano meno belli, meno eleganti e questo conta. Consegno dieci euro nelle mani del proprietario e vedo che lui  fa un movimento rotatorio, a 180 gradi, evitando di depositare immediatamente il biglietto da dieci in cassa. Quasi furtivamente, come un bambino di nascosto dalla mamma, noto che fa scivolare la banconota in una macchinetta controlla-soldi, che lampeggia per una frazione di nano secondo e poi emette la sua sentenza: i dieci euro sono buoni! A quel punto, solo a quel punto, il simpaticone mi dà il resto.

Confesso. Sono uscito traumatizzato. I miei pensieri sono stati, nell’ordine: non ci credo, ma siamo messi così in Italia?, ma tu guarda ‘sto barbone, più ne hanno più sono diffidenti. Naturalmente, il lato emozionale ha avuto evidentemente il sopravvento sulla parte più razionale di me, che solo nelle ore successive ha cominciato a realizzare quanto era accaduto. E così sono andato a controllare i dati Bankitalia più recenti in modo da poter esercitare, anche giornalisticamente, una sintesi tra quel filo di indignazione che mi aveva preso e la precisa realtà dei fatti.

I quali fatti, secondo Bankitalia, starebbero in questo modo. A tutto il secondo semestre 2013 erano state ritirate circa settantamila banconote, riconosciute false, con questa divisione percentuale: il 43,5 riguarda il taglio da 20 euro, il più contraffatto, segue quello da 50 per il 23,5, poi quello da 100 con il 17,8 per un monte complessivo dell’85% circa. Il restante quindici per cento si divide tra tutti gli altri tagli, cinque, dieci, cento, duecento, cinquecento.

A questo punto, pacificato dai dati Bankitalia, ho ripreso contatto con la parte più emozionale di me. Che è tornata a bomba. Che relazioni sociali sono quelle che ti fanno diffidare del tuo prossimo anche nelle piccole, piccolissime, cose? Perché non immaginare subito di avere di fronte persone perbene, e solo dopo, magari su qualche fatto più concreto, dubitare delle medesime? In attesa di tutte queste risposte, rimango sulla posizione originaria: se mi controlli i dieci euro, sei un poveraccio. 

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