Il termine che ricorre in molti giornali giapponesi è “inevitabile”. La strada verso la riattivazione dei reattori nucleari progressivamente spenti dopo l’incidente alla centrale di Fukushima numero uno è in discesa. Sono bastati tre anni per permettere al primo ministro Shinzo Abe di riaffermare il peso per il Giappone dell’energia nucleare.

L’11 aprile l’esecutivo giapponese ha approvato il principale documento per la politica energetica del paese. Si è trattato della prima vera revisione su questo tema fatta dal governo dopo i danni provocati dal terremoto e tsunami del marzo 2011. Tuttavia, la varietà delle idee contenute nel testo non fa riferimento a piani concreti per interrompere la dipendenza dal nucleare e ha invece restituito un ruolo centrale all’atomo tra le fonti energetiche nel paese.

La decisione arriva nonostante la maggior parte dell’opinione pubblica si sia espressa in numerosi sondaggi contro il ritorno il nucleare. La stessa industria dell’atomo in Giappone è in difficoltà dopo l’arresto degli ultimi tre anni. Ci sono state perdite di oltre cento miliardi di euro dovute ai costi per la sostituzione con i carburanti fossili e a quelli per l’adeguamento degli impianti ai nuovi criteri di sicurezza richiesti. Riattivarla e risollevarla comporterà ulteriori spese.

Per evitare nuove critiche e proteste di chi sostiene l’utilizzo di fonti d’energia rinnovabili il documento si riferisce a un piano flessibile nel medio e lungo termine. Intanto continua a restare incerto i futuro del prototipo di reattore della centrale nucleare di Monju e del programma del riprocessatore di Rokkasho. Non è ancora chiaro quali siano siano le reali intenzioni del premier Abe, ma quello che è certo è che l’abbandono del nucleare non è uno degli obiettivi al momento.

Il rischio per una nuova catastrofe naturale nell’arcipelago rimane sempre alta. In un’intervista al settimanale Shukan Asahi, Fumihiko Imamura, direttore del Tohoku disaster control research center all’Università del Tohoku ha avvertito sul pericolo di nuovi tsunami, come quello generato dopo il recente terremoto del Cile. “Il Giappone è un arcipelago e siccome i mari sono collegati, quando c’è uno tsunami in un’altra parte del mondo, anche il Giappone è a rischio. Anche uno tsunami come quello che c’è stato in Cile potrebbe raggiungere le coste nipponiche perché nell’Oceano Pacifico non trova ostacoli”. L’esposizione delle centrali giapponesi rimane sempre alta.

E mentre in un editoriale il quotidiano Asahi Shimbun ribadisce la necessità di maggior informazione per poter aprire un dibattito pubblico e stimolare la partecipazione dei cittadini su temi di politica energetica, investigare sulla questione del nucleare diventa sempre più difficile per i media in Giappone. Il comitato per la difesa dei giornalisti (CPJ) ha denunciato in un articolo i rischi per l’informazione indipendente nel paese. Dopo l’entrata in vigore della legge sul segreto di stato lo scorso anno, giornalisti e informatori rischiano fino a dieci anni di prigione se rivelano informazioni vagamente definite “segrete”. Masako Mori, ministro per gli Affari dei consumatori e la sicurezza alimentare che si è occupata di questa legge, ha precisato che anche le informazioni su come sono sorvegliate le centrali nucleari rientrano tra i “segreti di stato”. 

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