Antefatto. Shots è un app lanciata nel novembre 2013 attualmente disponibile solo per iOS che permette agli utenti di collezionare selfie e condividerli sui propri profili social. La start-up ideata dai fratelli Shahidi è giunta al sesto mese di vita. Cosa la differenzia rispetto alla concorrenza?

  1. L’app è stata progettata per combattere il fenomeno del trolling, creando un ambiente digitale ovattato in cui i commenti sono abilitati solo tra amici e, soprattutto, in cui per commentare bisogna allegare a propria volta un selfie. Le uniche foto ammesse sono quelle scattate con la camera frontale in real-time: non è possibile pubblicare immagini dall’archivio.
  2. L’investitore principale di Shots Mobile è Justin Bieber, la popstar che in virtù di un processo di tecno-divinizzazione iniziato anni fa quando il giovane canadese non era neanche maggiorenne – e che, per dare un’idea, fa pendere dalle sue labbra digitali 65 milioni di fan su Facebook e 50 milioni di followers su Twitter – orienta in modo massificante i consumi del suo target di riferimento: i teenager.

È davvero giusto combattere il trolling alla maniera di Shots? L’idea di fondo partorita dai fratelli Shahidi è che abilitando le replies solo per la propria cerchia di contatti, per di più costretti a “metterci la faccia” in tempo reale, gli utenti sono portati a stemperare i toni a causa della responsabilizzazione indotta da questa sorta di face-to-face. Qualunque traccia di cyberbullismo viene subito denunciata e l’utente rimosso. Se vi siete mai chiesti perché Facebook non abiliterà mai il tasto “Non Mi Piace”, questa è la risposta che Mark Zuckerberg non vi darà mai: il dissenso provoca insoddisfazione e va relegato a spazi specifici della rete, lì dove gli utenti decidono volontariamente di dare sfogo (virtuale) alle proprie frustrazioni (reali). Ma per alimentare il business è indispensabile dare la parvenza di un ambiente sicuro, dove impera il buonismo e gli utenti non corrono il rischio di sentirsi giudicati. Bandite le critiche, lunga vita ai likes.

Sebbene l’idea sia mossa dai migliori intenti – porre un freno alla degenerazione relazionale che rende, spesso, i social network più un campo di battaglia che un terreno di socializzazione – l’effetto perverso è una distorsione totale del concetto di confronto, per cui intere generazioni di adolescenti sono indotte a pensare che il mondo perfetto sia quello privo di scontro. Perché nell’Eden 2.0 di cui Shots è promotore, il bullismo da tastiera è equiparato alla critica argomentata e il dissenso è rimosso alla radice. Justin Bieber, che con cadenza regolare pubblica sui propri canali social selfie presi direttamente dall’app dei fratelli Shahidi (garantendogli una visibilità di riflesso inimmaginabile), nella sua Bio di Twitter reclamizza @shots proprio promuovendo questa visione del mondo: «Let’s make the world better. Spread love and positivity». Ma perché continuiamo a progettare ambienti digitali che non corrispondono in alcun modo alla realtà o per un estremo (anarchia e iperviolenza) o per un altro (smielato buonismo)?

Non è certo idealizzando una società votata all’omofilia che si formeranno nuove generazioni sane. Senza estremizzare eccessivamente il discorso a partire da una “semplice” app, il punto è che convivere sin da giovani con la diversità vuol dire affinare il proprio spirito critico. Barricarsi in questi luoghi iper-protetti vuol dire solo alimentare un becero gregarismo. Lo stesso becero gregarismo che, non casualmente, sta poi alla base del successo della popstar.

Cosa simboleggia Justin Bieber per i teenager? La maggior parte dei genitori che convivono con un suo fan non hanno minimamente idea di cosa la popstar rappresenti per l’universo di riferimento della prole. E sfortunatamente il grado di salute di una generazione si evince anche dai miti che alimenta. Partiamo dal nome: chi fa parte della fan base viene definito belieber – perché di questo si tratta: credere. Credere nella propria tecno-divinità e attendere un segno celestiale (che nel 2014 corrisponde all’incirca ad un suo favorite su Twitter) per riempire il lasso temporale che intercorre tra un concerto e un’apparizione televisiva/cinematografica. Sebbene in questi ultimi anni ci si sia sforzati di paragonare l’intensità di questa fandom a quelle innescate da tanti altri celebri artisti che hanno fatto la storia della musica, il grado di fidelizzazione dei belieber non ha eguali. Il merito? Un viso angelico e un uso morbosamente strategico delle piattaforme di social networking che hanno permesso a Justin Bieber di alimentare la propria base di sostenitori con una costanza mai sperimentata prima.

Giusto per far inquadrare meglio il personaggio, si consideri che nel giugno del 2013 Justin Bieber si è affacciato dal balcone del proprio hotel a Toronto concedendosi il lusso di sputare su una folla di fan adoranti che erano giunti sul luogo insieme ai fotoreporter per immortalare la superstar. Il tutto, tra le risate degli amici e la cieca adorazione dei destinatari della saliva. Senza contare il caso Anna Frank, tragica vittima dell’Olocausto tirata maldestramente in ballo dopo averne visitato la casa-museo ad Amsterdam, sostenendo che «è stata una grande ragazza» e che probabilmente «sarebbe stata una belieber» anche lei, se solo il tempo gliel’avesse concesso. Di questo livello di egotismo stiamo parlando.

La questione è che ai tempi della viralità incalzante, del turbo-consumismo e della massificazione digitale tutto ciò che Justin Bieber tocca, diviene immediatamente oro. Il Re Mida dell’industria musicale rappresenta, di fatto, uno dei brand più influenti della storia. Soprattutto perché si rivolge ad un target indifferenziato e irrazionale come quello dei teenager, pronti a colmare i vuoti identitari con la sicurezza che solo l’idolo di riferimento riesce a trasmettere. Ma, senza scomodare l’”essere” di Erich Fromm, è evidente che l’avanzamento democratico delle nuove generazioni non può passare attraverso la sudditanza nei confronti di queste autorità illusorie, progettate ad uso e consumo del mercato più che della società. Perché questo trend non rappresenta uno sviluppo genuino di gusti personali, bensì la cementificazione di una malsana idolatria che non fa che ostacolare l’indipendenza individuale.

Consigli finali (non richiesti). Non esponetevi solo all’eco assordante delle vostre voci ma anzi affinate la pratica argomentativa aprendovi al confronto, e sarete utenti migliori. Investite nel credere in voi stessi il 90% del tempo che investite nel credere in queste marionette dello showbiz, e sarete fan migliori. Fate in modo che l’autostima dei vostri figli non si misuri in selfie-per-retweet, e sarete genitori migliori. 

 

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