Dietro alle parole, e ai romanzi, ci sono le immagini. Questo il filo rosso delle quattro lezioni magistrali che lo scrittore turco Orhan Pamuk terrà a Bologna presso l’Aula Absidale di Santa Lucia dal 7 all’11 aprile 2014, dalle 18 alle 20, in compagnia di Umberto Eco, professore ospitante in quanto presidente della scuola superiore di Studi Umanistici dell’Università di Bologna che organizza l’evento. Quattro incontri in lingua inglese dal titolo “Six books in hundred and one pictures. Sei libri in centouno immagini”, per viaggiare negli aspetti eminentemente visivi della creazione letteraria del premio Nobel per la Letteratura 2006, tra fotografie, dipinti, disegni e schizzi a biro blu o matita, alcuni dei quali creati proprio dall’autore: lunedì 7 è stata la volta del saggio “Istanbul and Black Book”; martedì 8 tocca a “My Name is Red“; mercoledì 9 sarà la volta di “Snow” ed infine giovedì 10, in chiusura, “Museum of Innocence and Innocence of Objects”.

“Scrivere un libro sulla città in cui si è nati e vissuti, significa scrivere un libro su di sé”, ha raccontato Pamuk durante il primo affollatissimo incontro, ispirato al romanzo che lo ha consacrato nel 1990 autore di fama mondiale, Il Libro Nero. Ed è proprio dal dedalico racconto pubblicato in Italia prima da Frassinelli poi da Einaudi che Pamuk ha mostrato l’intreccio delle fonti d’ispirazione: prima le foto di famiglia, l’interno borghese da cui parte la storia del ragazzo che voleva essere pittore, ma che i genitori volevano ingegnere, e che infine diventò scrittore; poi il bianco e nero negli scatti di una Istanbul labirintica e malinconica, quella dove il giovane avvocato protagonista scopre improvvisamente che la moglie è svanita nel nulla, e la stessa sorte è toccata anche al fratellastro di lei, un celebre giornalista, introvabile da giorni: “Il concetto di malinconia nella cultura turca, e nella cultura di chi vive a Istanbul, è differente da quello intimista all’Europea, che bolla chi lo prova, tutto rinchiuso e isolato nella sua stanza, come una sorta di pecora nera della famiglia. Noi parliamo di un comune sentire, l’ “huzun”, un collante che unisce la comunità, una filosofia di vita, un’etica che insegna ad essere modesti, non troppo ambiziosi di ricchezze”.

Ma il ricordo della creazione de Il Libro Nero si sofferma anche sull’affascinante contributo grafico che lo stesso Pamuk mostra con candida innocenza: un paio di disegni modello panoramica di Istanbul dove le figure umane, curve e in ombra, letteralmente si rimpiccioliscono, per mettere in primo piano un intrico di linee architettoniche e urbane, una fittissima tessitura che si fa dramma letterario essa stessa. E da qui il salto all’impegno politico, è questione di un click del portatile: ecco la foto, sempre dell’armamentario visivo alla base de Il Libro Nero, rigorosamente in bianco e nero, di una grande e deserta arteria commerciale del centro città con solo due militari armi in pugno a girare per il corso: “Fu scattata appena dopo il colpo di stato militare del 1980. I due soggetti probabilmente cercavano terroristi. Furono giorni di grande tensione e paranoia, avevamo paura di essere controllati perfino nel telefonare”.

Ohnar Pamuk non è nuovo a raccontare ed intervenire in prima persona rispetto ai problemi politici di un paese culturalmente, e paradossalmente, in bilico tra oriente e occidente, tra un’entrata in Europa continuamente rimandata e un isolamento ‘politico’ accelerato dai governi più religiosamente ortodossi e conservatori: “L’Europa sembra molto impegnata nel discutere delle proprie criticità economiche riguardanti Spagna e Grecia. E anche se sono tra i primi supporter dell’entrata della Turchia in Europa, e sono stato tra i primi a stigmatizzare la violazione di diritti umani e le limitazioni della libertà di parola nel mio paese, scorgo ancora un piccolo cartello di divieto d’entrata fin dal 2005 firmato dai governi tedeschi e olandesi”. Infine, sulla chiusura di Twitter e Youtube operata due settimane fa dal governo Erdogan, il Nobel della letteratura 2006 conclude: “Tocchiamo un brutto tasto. E non è la prima volta che accade. La situazione rispetto alla libertà di stampa e di parola sta diventando terribile”.

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