Ultimi ore di ritocchi per il Documento di economia e finanza (Def). Giusto il tempo di arrivare al Consiglio dei ministri di martedì sera. Ma da Palazzo, come sempre, insieme all’ottimismo del premier di turno, in questo caso Matteo Renzi, trapelano le bozze. Che secondo quanto riporta l’agenzia Public policy, vogliono chiudere il cerchio sugli 80 euro promessi da Renzi ai lavoratori dipendenti di fascia medio-bassa. Tanto da far commentare al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio: “Abbiamo trovato tutte le coperture: vengono soprattutto da spesa pubblica e settori improduttivi”. I conti però non tornano al millimetro, tanto che lunedì insieme alle bozze sono trapelate indiscrezioni su un buco di copertura di 3 miliardi tondi davanti alle quali Palazzo Chigi  replica con le risorse attese dall’Iva che dovrà versare chi incasserà i pagamenti della pubblica amministrazione e da non meglio precisate “altre fonti”.

I documenti circolati, in effetti, parlano di un taglio dell’Irpef, per quest’anno, di 3,6 miliardi. Mentre l’obiettivo di 10 miliardi è per il 2015: ne beneficeranno tutti i lavoratori dipendenti e assimilati sotto i 25mila euro di reddito lordi (circa 10 milioni di persone), che nei piani riceveranno circa 1.000 euro netti annui ciascuno. Lo prevede in particolare la bozza del Programma nazionale di riforma (Pnr) 2014, una delle tre parti del Def che il presidente del consiglio presenterà all’esecutivo. “Già a partire da maggio 2014, in via transitoria i dipendenti che percepiscono oggi 1500 euro mensili netti da Irpef conseguiranno un guadagno in busta paga di 80 euro mensili”, si legge nel testo. Le coperture arriveranno da una riduzione della spesa non specificata nei minimi dettagli, ma che dovrà calare di una cifra compresa tra 3 e 5 miliardi quest’anno e tra 17 e 32 nel biennio 2015-2016. L’Irap per le aziende scenderà invece di “almeno il 10%”, ma nel secondo semestre dell’anno e l’operazione sarà finanziata dall’aumento della tassazione sulle attività finanziarie. Nel documento si legge anche che è obiettivo del governo, entro maggio, mettere in campo azioni volte ad “aumentare il reddito disponibile delle fasce reddituali più basse riducendo il cuneo fiscale e incentivando i consumi” e “favorire la competitività delle imprese”.

I tagli ai dirigenti pubblici, alla politica e alle spese in generale  Tra i capitoli affrontati nel Pnr ci sono anche le retribuzioni della dirigenza pubblica “che appaiono elevate nel confronto con la media europea”. Secondo indiscrezioni circolate in questi giorni, i nuovi tetti dovrebbero attestarsi a 270mila euro per i vertici (stesso livello del presidente della Repubblica), 190mila per i capi dipartimento, 120mila euro per i dirigenti di prima fascia, 80mila per quelli di seconda. Il taglio sarebbe comunque progressivo per tutti i redditi sopra i 70mila euro con un risparmio a regime di circa 700 milioni l’anno.  “Vedrete sarete contenti”, ha commentato il premier. Sfrondati anche i trasferimenti alle imprese. E così pure i costi della politica e la sanità, “con una particolare attenzione agli elementi di spreco e nell’ambito del cosiddetto patto per la salute con gli enti territoriali, e tramite l’assunzione di misure contro le spese che eccedono significativamente i costi standard”. Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, però, insiste a non voler parlare di tagli ma di risparmi da reinvestire nel Sistema sanitario nazionale. Si tratterebbe di 10 miliardi in 3-4 anni. Di sicuro la spesa verrà comunque razionalizzata, con l’applicazione in tutte le Regioni di costi standard, tagli ai posti letto, diffusione delle centrali uniche d’acquisto e adozione di strumenti già previsti dalla legge ma ancora poco utilizzati come la ricetta dematerializzata, il fascicolo sanitario elettronico e i referti digitali.

Nella bozza si programmano anche sforbiciate a “numerose partecipate degli enti locali (a esclusione di quelle che erogano servizi fondamentali per la collettività, le cui tariffe debbono essere congrue)”: “andranno attentamente esaminate nelle loro funzioni con la prospettiva di una sostanziale riduzione o eliminazione”. Tagli anche per le spese della difesa, i costi di Autorità indipendenti e Camere di Commercio, “auto di servizio e costi dei Gabinetti dei ministri e degli altri uffici di diretta collaborazione”, commissioni bancarie pagate dallo Stato per la riscossione dei tributi e “stanziamenti per beni e servizi”. Gli appalti pubblici vanno “concentrati in capo alla Consip e ad alcune altre centrali di acquisto presso le Regioni e le città metropolitane” per “ottenere dei risparmi già nel medio periodo”. Vanno razionalizzati la gestione degli immobili pubblici e gli stessi enti pubblici. “Infine – si legge – si potranno anche valutare i risparmi dal trasporto ferroviario, attualmente sussidiato dallo Stato in misura molto superiore rispetto agli altri Paesi europei, eventualmente anche tramite una revisione delle tariffe“.  Con ovvie ripercussioni sulle tasche dei consumatori.

Le privatizzazioni – La bozza delinea un piano triennale di privatizzazioni che prevede la dismissione di partecipazioni in un folto gruppo di società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato: Eni, Enav, STMicroelectronics, Sace, Fincantieri, Cdp Reti, Tag (società che gestisce i gasdotti Slovacchia-Austria-Italia) e Grandi StazioniCento Stazioni. Sarà venduta ai privati anche una parte delle società pubbliche locali, con l’obiettivo di far entrare nelle casse dello Stato 12 miliardi nel 2014 e tra i 10 e i 12 miliardi per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017, somma che corrisponde a circa lo 0,7 %del Pil. “Un primo passo nella vendita delle partecipazioni statali – scrive il governo – è stato fatto già a gennaio 2014”, con i decreti sulla vendita del 40% del capitale di Poste italiane e il 49% di Enav. Il processo deve continuare “non solo per dare un ulteriore contributo alla riduzione del debito pubblico, ma anche per portare maggiore efficienza in interi settori dell’economia locale”.

Debiti della Pa: sanzionato chi non paga  – Per accelerare il pagamento dei debiti arretrati della Pubblica amministrazione alle imprese, già avviato nel 2013 e proseguito quest’anno (oltre 47 miliardi sono stati già saldati), saranno messi a disposizione ulteriori 20 miliardi, anche con l’intervento della Cassa depositi e prestiti, che potrà acquisire pacchetti di debiti garantiti dallo Stato. La Cdp, ma anche altre “istituzioni finanziarie dell’Unione Europea e internazionali, possono acquisire, dalle banche e dagli intermediari finanziari, sulla base di una convenzione quadro con l’Abi, i crediti assistiti dalla garanzia dello Stato”, per poi eventualmente ristrutturarli su scadenze più lunghe. Inoltre si prevede che i creditori e le amministrazioni “comunicheranno i dati relativi alle fatture tramite la piattaforma elettronica per la gestione telematica del rilascio delle certificazioni, consentendo allo Stato il monitoraggio del ciclo passivo delle Pa”. Per chi non rispetta i tempi di pagamento è prevista “una sanzione“. Entro 30 giorni il creditore avrà diritto di ottenere una risposta dall’amministrazione, che dovrà dire se pagherà, se contesta la fattura o se, terza ipotesi, la riconosce ma non è in grado di pagare, per cui si rende disponibile a certificarla, aprendo la strada alla concessione della garanzia statale. 

Un altro punto anticipa la creazione di “un fondo specifico per il finanziamento dei debiti degli enti locali nei confronti delle proprie società partecipate”, per ridurre l’indebitamento delle partecipate stesse: lo Stato si impegnerà dunque ad assicurare che le sue emanazioni territoriali abbiano liquidità sufficiente per far fronte allo stock dei debiti “certi, liquidi ed esigibili”. La Pubblica amministrazione debitrice diversa dallo Stato, comunque, “può chiedere, in caso di temporanee carenze di liquidità, una ridefinizione dei termini e delle condizioni di pagamento dei debiti, per una durata massima di 5 anni”. Verrà poi rifinanziato il “fondo per il ripiano dei debiti dei ministeri“.  

Le altre misure per le imprese – Rafforzamento di 500 milioni del Fondo centrale di garanzia per il credito alle piccole e medie imprese, rifinanziamento di quello per il regime agevolato delle reti d’impresa (200 milioni), incentivi all’investimento in azioni o quote di pmi quotate o quotande (e anche in veicoli specializzati nell’investimento azionario in pmi) e riduzione di almeno il 10% del costo dell’energia delle imprese “attraverso la rimodulazione della bolletta energetica e senza impatto sulla finanza pubblica”: sono questi i principali interventi previsti per le piccole aziende. Di qui a settembre si programma “l’ampliamento del contributo degli investitori istituzionali all’impresa italiana, attraverso una più intensa canalizzazione del risparmio verso minibond e fondi di credito”. E ancora: “Sostegno per il seed e venture capital e le nuove imprese innovative”. Inoltre, sempre per lo stesso periodo, il governo prevede un “rilancio degli investimenti delle imprese, con particolare riguardo a quelli in ricerca, sviluppo e innovazione, potenziando il credito di imposta alla ricerca e quello sull’assunzione di ricercatori (dottorati industriali) e le misure di facilitazione al rinnovo degli impianti produttivi come la nuova Sabatini. Per migliorare l’efficienza del mercato dell’energia, e magari ridurne i costi, si punta anche su una “maggiore diversificazione degli approvvigionamenti e un completamento del processo di liberalizzazione del mercato elettrico e del gas, anche rimuovendo gli ostacoli allo sviluppo della nostra capacità di rigassificazione”. 

No allo sforamento del 3% – La crescita si dovrebbe fermare quest’anno allo 0,8% contro lo 0,6% previsto dalla Commissione europea e l’1% indicato dal governo Letta. Il rapporto deficit-pil dovrebbe invece essere compreso tra il 2,5% e il 2,6 per cento. Discorso a parte per il debito. L’intenzione del governo è quella di rinegoziare con l’Ue i tempi per il piano di rientro rigidamente previsto dal fiscal compact, ma la trattativa ufficiale dovrebbe essere rimandata alla presidenza italiana del semestre europeo.”L’economia italiana ha ora ritrovato un percorso di sviluppo, ma la ripresa è ancora fragile e va consolidata”, riconosce l’esecutivo nelle bozze. Per vincere la sfida “c’è bisogno di una politica economica incentrata su misure strutturali – si legge ancora – con una strategia articolata, con azioni e misure funzionali e coerenti che producano i loro risultati nei prossimi due-tre anni“. Quindi “nei prossimi mesi il governo intende concentrare tutti gli sforzi in una terapia d’urto che possa impattare sulle determinanti chiave della domanda e della competitività, senza tralasciare la qualità della spesa pubblica, che va ridimensionata e indirizzata verso un migliore e più efficiente utilizzo”, prosegue il testo. “E’ tuttavia chiaro che gli sforzi che si chiedono al Paese, anche per affrontare gli squilibri macroeconomici, dovranno essere valutati attentamente nelle loro implicazioni e conseguenze solo dopo averli inseriti in un programma generale di riforme più ampio e cadenzato”, si legge ancora. 

L’Italia, dunque, si attende “riforme strutturali che imprimeranno una spinta duratura alla crescita economica e miglioreranno la sostenibilità delle finanze pubbliche”. Le porterà a termine, però, tenendo conto “delle raccomandazioni della Commissione europea contenute nella Relazione sugli ‘Squilibri macroeconomici Italia 2014′”. Sì a “guadagnare più spazio e flessibilità sui conti pubblici”, ma sempre, “all’interno del limite del 3% e mantenendo saldo l’impegno al pareggio di bilancio nel medio termine”.  “L’enorme sforzo che è stato compiuto per riportare il debito su un percorso virtuoso e uscire dalla procedura europea, in un periodo di recessione economica, ha lasciato inevitabilmente al Paese un’eredità pesante in termini di crescita e disoccupazione. Questa tendenza va invertita e i benefici legati al rispetto delle regole fiscali europee devono tradursi in un’opportunità per gli anni a venire, per il tramite di maggiori investimenti e riforme strutturali”. 

Misure per il rientro dei capitali entro settembre – Resta invece in un cassetto la voluntary disclosure, cioè la procedura di rientro “volontario” dei capitali detenuti all’estero. O meglio, entra nel Def, ma nella bozza del Pnr figura come uno degli interventi da mettere a punto entro settembre 2014. Niente sconti, diversamente da quanto previsto dai vari “scudi fiscali” del passato, si garantisce, ma “meccanismi diversificati di riduzione/limitazione delle sanzioni amministrative”, in linea con il modello predisposto dal governo Letta e dai suoi consulenti. La regolarizzazione riguarderà in particolare le violazioni commesse fino al 31 dicembre 2013 e potrà essere effettuata oltre il 30 settembre 2015. 

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