“Secondo le nostre informazioni, in Nord Africa ci sono tra 300 e 600mila persone in attesa di transitare nel Mediterraneo”. Così ieri il ministro dell’Interno Alfano lanciava l’allarme, mai smentito dall’Europa. Michele Cercone, portavoce della commissaria agli Affari interni della Commissione Ue Cecilia Malmstrom, conferma: “I numeri a nostra disposizione sono dello stesso ordine di grandezza”.

A un giorno di distanza, a replicare sono le associazioni che si occupano di migranti. La più dura è quella del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir). Il numero uno del Viminale sostiene che serve una “maggiore difesa delle frontiere” e un rafforzamento di Frontex, l’agenzia intereuropea di pattugliamento dei confini. Una logica che non piace al Cir: “Siamo seriamente preoccupati per le parole del ministro – spiega Christopher Hein, direttore del Consiglio per i rifugiati – vogliamo capire meglio cosa significa ‘difesa delle frontiere’: vuol dire forse intercettare in mare le persone che si imbarcano verso le nostre coste e rimandarle indietro? Non vorremmo che questo fosse solo un modo per preparare il terreno alla chiusura dell’operazione Mare nostrum e riprendere una politica dei respingimenti. Quelle pronunciate ieri – aggiunge Hein – sono parole che creano solo allarmismo e fanno crescere nell’opinione pubblica la paura di un’invasione”. L’operazione militare Mare nostrum, stando alle cifre del Viminale, dal 14 ottobre (data d’inizio) ad oggi ha permesso di salvare 12mila persone. E ha evitato possibili naufragi.

Per Gianfranco Schiavone, membro dell’Associazione studi giuridici per l’immigrazione (Asgi), le parole di Alfano “rispondono alla collaudatissima strategia della fabbrica della paura: si fa percepire all’opinione pubblica l’invasione invece che parlare del fatto che sono le autorità pubbliche che non stanno affrontando la questione. Siamo all’utilizzo ideologico dell’emergenza, ormai è chiaro”. L’associazione nei prossimi giorni uscirà con un documento di analisi di tutte le pesanti lacune del sistema d’accoglienza all’italiana. Che soffre di un’ambiguità di fondo: il sistema vive di “canali di emergenza” (l’ultima, nel maggio 2011, l’Emergenza Nord Africa, con cui si sono aperti 50mila posti in centri di accoglienza) che si sovrappongono ad un sistema collaudato (il Sistema di protezione rifugiati e richiedenti asilo Sprar che è stato potenziato fino ad una capacità massima di 16mila posti d’accoglienza per volere dell’ex ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge). Il risultato è disastroso: “Un piano organico per l’accoglienza non c’è “, sostiene Carlotta Sami, portavoce dell’agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) per il Sud Europa. “Non bisogna fare un discorso di protezione delle frontiere – chiosa – ma continuare il percorso dell’accoglienza intrapreso con Mare nostrum”.

La Fondazione Leone Moressa ha poi analizzato i trend degli sbarchi, per dare un’immagine reale della situazione. L’aumento è innegabile: nel 2014 gli arrivi sono stati 13 volte tanto quelli di un anno fa e per il 98% dei casi sono avvenuti in Sicilia. Per quanto sia la porta d’accesso dell’Europa, però, l’Italia non è un Paese d’asilo: stando ai dati del 2013, in cima alla classifica europea c’è la Germania con 127mila richiedenti asilo, seguita da Francia (65 mila) e Svezia (54 mila). L’Italia è quinta con 28mila richieste, dato costante. L’11,6% dei richiedenti asilo nell’Unione è siriano, ma al secondo posto spuntano i russi, con 9,5%, e al terzo gli afghani, 6%. Per il 2014 le attese della Fondazione Leone Moressa è che si vada ben oltre l’asticella degli anni passati. Solo nei primi tre mesi, le richieste sono state 11mila. “Ma siamo comunque al di sotto di una situazione d’emergenza”, chiude Gianfranco Schiavone, membro di Asgi.

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