Non ha fatto in tempo a festeggiare per il recupero di vendite negli Usa e in Italia che la Fca di Sergio Marchionne ha dovuto registrare ieri la brutta notizia dei difetti ai freni di Jeep e Dodge. La Chrysler, infatti, fiore all’occhiello della nuova Fiat globale, quella che macina utili e vendite, ha dovuto richiamare dal mercato la bellezza di 867.795 tra Grand Cherokee e Dodge Durango, marchi di punta della casa di Detroit. I modelli ritirati sono riferiti al periodo che va dal 2011 al 2014 e dovranno essere tutti ispezionati ed eventualmente riparati dai tecnici Chrysler. I guasti si riferiscono ai supporti ai freni che potrebbero presentare corrosioni in presenza di acqua. Un guasto di non piccola rilevanza soprattutto dopo quello che è avvenuto alla General Motors finita sotto esame nazionale per via del guasto all’accensione che ha provocato diversi incidenti e diversi morti.

Per la Chrysler, il ritiro dal mercato e il contestuale programma di recupero prevede oltre 640 mila vetture negli Stati Uniti, 42 mila in Canada, 21.300 in Messico e circa 160 mila in altre parti del mondo. Uno smacco di immagine, quindi, che si inscrive nel problema più generale delle case automobilistiche alle prese con i difetti di produzione. Nell’ultimo anno, infatti, la concorrente General Motors ha ritirato dal mercato di tutto il mondo quasi 7 milioni di veicoli di cui 2,6 milioni negli Usa.

Un caso che ha costretto l’amministratrice delegata, Mary Barra, alle scuse ufficiali davanti al Congresso degli Stati Uniti. Il difetto del blocchetto di accensione delle Gm, infatti, ha provocato 34 incidenti e almeno 12 morti (per quanto riguarda l’Italia, sono state richiamate solo 156 Oper Gt del 2007 prodotte negli Usa). L’accusa alla General Motors, però, è di aver ritardato il ritiro delle auto quando il difetto era noto almeno dal 2006. Barra ha risposto di non sapere perché ci siano voluti anni per ammettere le proprie responsabilità: “Qualcosa è andato storto” ha spiegato “e sono successe cose terribili. Vi assicuro che lo capiremo”. Allo stesso tempo, però, ha dovuto nominare un nuovo vice presidente con il compito specifico di occuparsi della sicurezza. Altro caso, quello della Toyota che è stata costretta a richiamare 1,9 milioni di automobili Prius, di cui 5800 solo in Italia, per un guasto riguardante la centralina elettrica. Nel dicembre 2012 la casa giapponese aveva dovuto pagare un risarcimento da 1,1 miliardi di dollari per i problemi scaturiti dall’acceleratore di alcune automobili vendute sul mercato americano. Nel caso della Prius, la Toyota ha preferito far rientrare le vetture prima ancora che il difetto venisse veramente accertato.

“Il numero incredibile di nuovi modelli, una tecnologia sempre più complessa e competitiva e controlli normativi sempre più intensi stanno rendendo particolarmente duri i controlli sulla sicurezza” spiega uno studio della società di consulenza finanziaria, Stout Risius Ross Inc. La riorganizzazione produttiva, inoltre, la diminuzione della forza lavoro e la necessità di presiedere a una maggiore quantità di operazioni fanno il resto. Ma, sopra tutto, resta il problema dei costi: dall’inchiesta statunitense sulla General Motors è emerso che il costo della sostituzione per ogni blocchetto di accensione sarebbe stato di circa 76 centesimi mentre quello previsto per eventuali interventi in garanzia, solo 20 centesimi. Cinquantasei centesimi di costo supplementare per ogni auto difettosa (2,6 milioni) fanno circa 1,5 milioni di dollari. Un calcolo che i dirigenti Gm hanno fatto e di cui oggi devono rispondere.

Ma ieri i problemi per Fiat non sono venuti solo dal Nord America. La crisi valutaria in Venezuela, infatti, ha spinto Iveco a sospendere la produzione nello stabilimento di La Vittoria, circa 400 dipendenti, che costruiscono camion e telai per autobus. Per ora restano a casa in attesa che il mercato si riprenda.

Da Il Fatto Quotidiano di giovedì 3 aprile 2014

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