Un funzionario del ministero per le Telecomunicazioni condannato per abuso d’ufficio, un imprenditore prima rinviato a giudizio e poi assolto. Un altro che pur mai indagato appare come il dominus della vicenda. Un secondo funzionario pubblico, anche lui non coinvolto penalmente, anche se compiacente. Sul tavolo la partita, sconosciuta ai più, delle frequenze radio. Un mondo a parte dove le regole che pur ci sono appaiono troppo lasche e facilmente aggirabili. Succede a Milano. Indaga la Procura che chiede e ottiene la condanna a sei mesi per Domenico Spoto, all’epoca dei fatti direttore dell’Ispettorato territoriale lombardo (leggi). Sul tavolo l’illegittimità dell’autorizzazione sperimentale a trasmettere sulle frequenze di 100,3 mhz concessa da Spoto alla società Ati srl cui fa riferimento la radio Milan-Inter. L’impianto scelto sta in via Biancamano 3. C’è, però, un problema: su quelle frequenze (100 mhz) da anni trasmette già Radio Lombardia e qualche onda radio più in là anche Rai 3. Entrambe vengono disturbate. La questione non è banale, perché il danno economico può raggiungere cifre di qualche milione di euro. In particolare Radio Lombardia fa denuncia. Inizia il processo che si conclude nel dicembre 2013 con una sentenza di condanna firmata dal giudice Maria Teresa Guadagnino. Diciannove pagine di motivazioni che spiegano la vicenda fotografando un mondo, quelle delle frequenze radio, dove il rischio corruzione resta altissimo.

Due gli imputati: Domenico Spoto e Gabriele Bucchi legale rappresentante dell’Ati srl. Bucchi sarà assolto perché, a suo carico, il fatto non sussiste. Dalla vicenda, però, emerge il ruolo del padre, Giacomino Bucchi, che pur mai indagato, appare come il vero regista della vicenda, impegnato a fare pressioni su Spoto, ma anche sul ministero e addirittura su alcuni parlamentari. Il tutto per ottenere il via libera alla trasmissione su 100,3 mhz dall’impianto di via Biancamano. La storia si consuma tutta nel 2007. Inizia a marzo quando la stessa Ati chiede all’autorizzazione a trasmettere dall’impianto di via Turati. L’autorizzazione viene negata, perché lo stesso Spoto, interrogato dal ministero, conferma l’illegittimità di quell’impianto. L’Ati torna però alla carica. E nel novembre 2007 chiede l’ennesima autorizzazione. L’impianto questa volta è quello di via Biancamano. E’ il 23 novembre. Pochi giorni dopo, il 27, arriva il via libera del ministero firmato dallo stesso Spoto. Che cosa è successo?

I testimoni del ministero, sentiti in aula, spiegano i fatti. Fabrizio Todisco racconta che non era mai successo che in due giorni fosse rilasciata l’autorizzazione. Lo stesso Todisco viene nominato come titolare del procedimento. Strano, ragiona il funzionario, visto che era da tempo malato. Michelangelo Nicolosi, capo sezione del settore telecomunicazioni dell’ispettorato, conferma di essere stato lui, il 26 novembre 2007, a firmare l’apertura della pratica che poi sarà seguita in toto non da Todisco, ma da un altro funzionario, che secondo i giudici appare chiaramente compiacente con Spoto. Lo stesso Spoto, poi, da tempo assente dagli uffici, si materializza proprio il 27 novembre per firmare l’autorizzazione. Insomma, rispetto alla pratica relativa a via Turati, poi chiusa senza autorizzazione, quella di via Biancamano corre spedita. Grazie anche alla benzina messa da Giacomino Bucchi con le pressioni fatte al ministero dove, spiegherà lui stesso, “sono di casa”. Le pressioni funzionano, tanto che, spiega il giudice, a Bucchi senior l’autorizzazione viene consegnata a mano negli uffici dell’ispettorato.

Questa la storia. Spoto sarà condannato a sei mesi, rispetto agli otto chiesti dall’accusa. Il giudice, poi, pur ritenendo dimostrate le complicità di un altro funzionario pubblico e di Giacomino Bucchi, non rimanda gli atti alla procura perché, ragiona, il reato è ormai prescritto.

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