Essere femministe e portare il velo. Secondo le donne musulmane del gruppo londinese Maslaha non è una contraddizione, ma un fenomeno diffuso di cui si parla ancora troppo poco. In occasione della Festa della donna, il gruppo ha lanciato una nuova iniziativa, islamandfeminism.org, con l’obiettivo di raccogliere le voci di quante rivendicano fieramente l’appartenenza alla religione islamica e allo stesso tempo al movimento femminista.

Latifa Akay, ideatrice del progetto, spiega che il femminismo non è un’etichetta rigida. “Vogliamo parlare di ciò che questo termine significa per le donne musulmane e come possiamo affrontare gli stereotipi che ritraggono l’Islam e il femminismo come due mondi inconciliabili”.

Stereotipi presenti non solo nei media ma anche nella comunità islamica stessa , che vede di cattivo occhio un movimento di matrice occidentale sempre più associato ai gesti provocatori di gruppi come le Femen. “In un primo momento pensavo che essere femminista volesse dire smettere di portare il velo e abbandonare la mia religione – dice Kübra Gümüşay, giornalista di Die Zeit e membro di Maslaha – Ma esiste un altro modo di affermare i propri diritti di donna, del tutto conforme ai precetti islamici”.

“Il problema è che si parla di Islam e femminismo come di un fenomeno nuovo, come se fosse una sorta di primavera araba e tutte noi musulmane avessimo deciso da un giorno all’altro di voler essere libere”, dice Hannah Habibi Hopkin, artista le cui opere affrontano con umorismo la percezione occidentale del velo. L’obiettivo principale di Maslaha è proprio quello di riportare alla luce la storia delle tante donne che da tempo si battono per i loro diritti – pur non rinunciando a praticare la loro religione – e creare un punto di incontro e di confronto per quante vogliono intraprendere questa strada.

Uno dei temi più spinosi affrontati da islamandfeminism.org è l’alto tasso di disoccupazione delle donne musulmane, sei volte maggiore rispetto alla media femminile a fronte di una richiesta di lavoro quasi uguale. Le donne più svantaggiate provengono da Pakistan e Bangladesh, due terzi delle quali non hanno un reddito.

Parte del problema sarebbe la mancata presa di posizione del governo inglese sul tema del niqab, il velo integrale che lascia scoperti gli occhi. Un’inchiesta del Telegraph ha rivelato che molti ospedali impongono alle dipendenti di rimuoverlo per favorire l’interazione con il paziente, cosa che costringe molte donne a rinunciare a un impiego.

Tale disagio nei confronti dell’Islam è stato accentuato, secondo Hannah Habibi Hopkin, dalla retorica femminista occidentale, che ha creato un’etichetta assolutista dalla quale la donna musulmana è tagliata fuori. “Il messaggio è, se vuoi essere “liberata” devi essere come me. Invece di imporre uno standard, dovremmo riconoscere il diritto della donna di scegliere il modo in cui vuole vivere la sua vita”.

L’associazione Maslaha, il cui nome è traducibile in “bene comune”, è stata nominata tra le 50 organizzazioni che stanno cambiando in positivo il Regno Unito. Cambiamento che Latifa Akay ritiene debba passare per il confronto con chi è diverso. “Il tipo di discriminazione che una donna di colore deve affrontare non è uguale a quello di una musulmana o di una donna inglese. Abbiamo bisogno di comunicare e comprenderci per poter essere tutte parte di quello sforzo comune chiamato ‘femminismo’”.

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