Se la terra continua a camminare, la secessione del Paese quassù potrebbe farsi realtà. Non quella ideologica di Umberto Bossi, s’intende. Ma quella infrastrutturale: qui l’Italia rischia di dividersi in due. Perché la Variante di valico potrebbe mettere a rischio le altre grandi opere che da decenni attraversano l’Appennino. Risvegliata dai lavori per la nuova galleria Val di Sambro, la frana che dal 2010 sta facendo muovere il paesino di Ripoli è infatti arrivata a pochi metri dalla stazione ferroviaria di San Benedetto Val di Sambro. E quelli della Direttissima che passano lassù non sono binari qualunque: sono il teatro di due stragi che hanno segnato la storia della nostra Repubblica. Quella dell’Italicus nel 1974 (12 morti) e la strage di Natale del Rapido 904 nel 1984 (17 morti). Ciò che rimaneva dei treni arrivò sotto quelle pensiline.

Il pilone, alto 40 metri, dell’Autosole si è spostato di 15 centimetri in due anni
Come rivelato dal Fatto il 23 marzo, il viadotto a monte di Ripoli, dove passa l’attuale Autosole Bologna-Firenze, si è mosso di quasi 15 centimetri in due anni e mezzo. I misuratori però segnalano che anche a valle della frazione di San Benedetto Val di Sambro la terra si muove. Tutto sta scritto nelle carte di Spea, società di ingegneria di proprietà di Autostrade per l’Italia, concessionaria della Variante di valico. Mire topografiche piazzate a maggio 2013 ai bordi del parcheggio dello scalo Fs, a poche decine di metri dai binari, segnalano movimenti di quasi tre centimetri verso valle negli ultimi 10 mesi. Pochi metri più a monte le misurazioni sono iniziate ben prima, fin dal novembre 2011, da quando gli abitanti del paese hanno notato le prime crepe sui muri: la mira O-8, per esempio, si è mossa di 18 centimetri tra novembre 2011 e febbraio 2014. Rfi (Rete ferroviaria italiana), interpellata, prova a minimizzare: “Gli studi in corso a cura dell’Università di Bologna non evidenziano, al momento, movimenti tali da compromettere l’agibilità della linea ferroviaria”.

I tecnici del servizio geologico della Regione Emilia Romagna, che da tre anni aggiornano le mappe di Ripoli, la spiegano così: “La stazione e i binari non sono sul corpo di frana, ma su depositi alluvionali di fondovalle. Il colore differente (nella cartina topografica che pubblichiamo in alto è azzurro, ndr) dipende dalla diversa natura dei terreni”. L’enorme macchia di colore rosso sulla mappa, segno di frana attiva, che ora ricopre Ripoli fin su, fino al viadotto dell’A1, l’hanno disegnata loro. Ed esclude solo binari e stazione. “Sono mai state fatte delle misure lì?”, chiediamo. “No. Non ci risulta che vi siano mai stati problemi di alcun tipo sulle linee stesse. Di conseguenza la zona ferroviaria non fa parte del territorio monitorato specificamente per la Variante di valico”. Prima che gli scavi la risvegliassero, la grande frana si muoveva al massimo di 2,7 millimetri l’anno. A stabilirlo è una consulenza che la procura di Bologna ha fatto eseguire per la sua inchiesta. Lunghe indagini sulla quale per mesi hanno lavorato i carabinieri di Vergato, ma per la quale ora i pm hanno chiesto l’archiviazione. Adesso, invece, a Ripoli tutto cammina più veloce. I muri si spaccano, famiglie intere hanno dovuto abbandonare il borgo dalla sera alla mattina. La chiesetta del Duecento, un gioiellino del Medioevo, è stata dichiarata in stato d’allarme secondo le schede Aedes, quelle che si usano dopo i terremoti. Ha camminato per oltre 15 centimetri dal 2011. Ci sono case quassù che sono scivolate per 25 centimetri. Andando dal centro del paese verso la zona chiamata Scaramuzza, che prima dei lavori si muoveva di nove millimetri l’anno, il misuratore A-2 ha segnato movimenti per oltre 80 centimetri da inizio 2011. E nonostante le rassicurazioni non si è ancora fermato.

Il silenzio delle istituzioni dopo una breve sospensione dei lavori nel 2012
Le istituzioni intanto latitano. Tra il 2011 e il 2012, sotto la pressione di cittadini inferociti e spaventati, Regione e Prefettura imposero ad Autostrade un controllo massiccio affinché a nessuno cadesse in testa il tetto. Ripoli da allora è il paese più monitorato d’Europa. Non c’è casa che non sia controllata al millesimo di millimetro. Ma la frana si muove ancora, anche ora che la galleria della Variante è quasi completa e il danno è fatto. Nel 2012, quando ancora fermare gli scavi poteva significare salvare la situazione, il Consiglio regionale votò unanime lo stop ai lavori proposto dal M5s. La giunta regionale, del Pd, da sempre sponsor politico dell’opera, si presentò da Autostrade con la coda fra le gambe e ottenne giusto una breve interruzione dei lavori. Da allora il silenzio della politica. Rotto periodicamente dalle notizie degli sgomberi. Il 22 marzo il Fatto ha segnalato in un articolo problemi analoghi in un altro tratto della Variante, la galleria Sparvo. La notizia ha spinto i cittadini di Ripoli a far sentire ancora la loro voce: “Le istituzioni dovrebbero prendere atto che le nostre case sono destinate a essere perse. Dovrebbero fare pagare i responsabili per i danni patrimoniali e per quelli alle nostre vite – spiega Dino Ricci, geometra in pensione, ex costruttore di strade, e ora portavocedelcomitatocivico–Unafranadiqueste dimensioni, in Appennino non si ferma più”.

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