Cinque o sei ministri che volevano passare alla storia come grandi riformatori della scuola italiana e/o volevano compiacere il Vaticano e le scuole private e/o volevano guadagnare meriti a Bruxelles con i tagli lineari, hanno ridotto la scuola italiana se non in fin di vita, certo in assai malferma salute.

Ma la tentazione è forte, irresistibile quasi. Appena nominata ministro, la prof. Giannini ha deciso che anche lei deve passare alla storia. E che escogita? Riduzione di un anno del ciclo medio-superiore, con la scusa che i quattro anni si usano nei paesi più avanzati di noi.

Ministra, ha riflettuto sul fatto che in un paese dove la disoccupazione giovanile è ai nostri livelli, un anno di meno a scuola significa un bell’incremento della fascia dei giovani italiani che non studiano e non lavorano? Se non c’è modo di farli lavorare, Lei pensa che sia peggio tenerli un altro anno a scuola o lasciarli a bighellonare tra il muretto e il bar, a avvilirsi, mortificarsi, sentirsi inutili e cretini e tirarsi su con una canna o una birretta? Un anno di più a scuola non ha mai fatto male a nessuno, anche se non è immediatamente vendibile sul mercato. Anzi, le dirò che sui tempi medi della vita umana non di rado le cognizioni non immediatamente vendibili, sono le più utili per vivere una vita decente.

Se poi il suo problema è non la scuola italiana, ma la riduzione della spesa, e questa soppressione di un anno è un taglio lineare camuffato da riforma, allora ce lo dica. In questo caso la pregherei però, Lei e i suoi colleghi, di rinunciare alle litanie del “bisogna investire di più nell’istruzione e nella ricerca”.

Se c’è bisogno di “copertura” per le spese, si potrebbero trovare subito un po’ di soldi chiedendo al Vaticano di far pagare le scuole confessionali a chi desidera mandarci i figli (e se sono poveri, che li accolgano gratis). Al Vaticano gli si può anche chiedere di pagarsi gli insegnanti di religione cattolica, selezionati dai vescovi diocesani, ma pagati dal contribuente italiano. Le sembra giusto che i cittadini italiani di religione ebraica, protestante, musulmana, ortodossa, indù o semplicemente atei convinti (e non devoti) siano obbligati a pagare di tasca loro l’insegnamento di una religione che non è la loro, il cattolicesimo? E c’è ancora un altro gruzzoletto da cui attingere: chiedere al Vaticano di pagare quella che era l’Imu e ora non so come si chiama, su istituti di istruzione, impianti sportivi, collegi, alberghi e quant’altro. Anche se sono condotti da suore o preti, gli impianti sportivi e gli istituti scolastici non sono propriamente luoghi di culto. O no?

Cara Ministra, negli ultimi trenta e più anni ho insegnato nell’Università italiana. Prima, per dodici anni ho insegnato nelle scuole medie inferiori e superiori. È stata l’esperienza di un peggioramento continuo; l’ultimo provvedimento ministeriale decente di cui ho memoria è stata l’istituzione della scuola media unica (1962, se non vado errata, insegnavo da due anni). Il peggioramento si è spaventosamente accelerato negli ultimi due decenni. Come faccio ad affermare questo? Misuro la costante diminuzione della capacità di ragionare e della quantità di contenuti su cui ragionare, di cui mediamente le studentesse e gli studenti danno prova. Che è poi l’unica ma irrinunciabile cosa che la scuola dovrebbe insegnare. L’algebra e l’analisi logica per ragionare e parlare, la storia, la letteratura, la fisica e la geografia per avere materiali su cui ragionare. Ma no, troppo semplice, non abbastanza smart.

Il punto è che la democratizzazione del sistema scolastico è stata perseguita, anche dai partiti di sinistra, non facendo crescere il numero di alunni che arrivavano ai livelli più alti (risultato per ottenere il quale ci volevano molte, moltissime borse di studio e collegi e mense e insegnanti numerosi e ben pagati), ma con una progressiva riduzione dei programmi e con un progressivo abbassamento delle soglie di qualità dell’apprendimento, mentre gli insegnanti sono stati caricati di compiti di sostegno, comprensione, addestramento all’espressione e alla comunicazione e via psicosemiologizzando, del tutto impropri e a tutto discapito del loro ruolo che è, prioritariamente, insegnare. Risultato: i nostri studenti sono tra i più ignoranti d’Europa, il numero dei fuori corso universitari non è diminuito, quello dei laureati non è aumentato.

Quello che fa buona una scuola sono gli insegnanti. Restituisca loro la dignità, l’orgoglio del loro ruolo e dell’appartenenza al sistema di istruzione pubblico; e trovi le coperture per aumentare i loro stipendi. Forse così la scuola pubblica italiana troverà un po’ di quella pace di cui ha bisogno per potersi autoriformare, nel corso del lavoro quotidiano. E magari Lei davvero passerà alla storia.  

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