Che in Puglia la violenza mafiosa abbia raggiunto livelli drammatici, lo raccontano anche la cronaca degli ultimi giorni e la morte del piccolo Mimmo, freddato a neppure tre anni di età insieme alla madre Carla Fornari e al patrigno Cosimo Orlando, un pregiudicato in semilibertà. Una storia di droga ed estorsioni. Di uomini e clan che si fanno la guerra per la conquista di un affare o di un territorio. Anche l’ultimo rapporto di Avviso Pubblico (leggi), la rete di enti locali contro le mafie, assegna alla Puglia un triste primato. Nel 2013 è stata la regione in cui si sono verificati il maggior numero di minacce e intimidazioni nei confronti degli amministratori locali.

Il rapporto, intitolato “Amministratori nel mirino”, attribuisce alla Puglia un quinto (il 21%) dei gesti intimidatori avvenuti nel 2013 in tutto il Paese. Ordigni esplosivi sull’uscio di casa, spari contro portoni e saracinesche, incendi di auto e abitazioni, lettere minatorie e proiettili, sono soltanto alcuni dei “regalini” riservati ai politici pugliesi nel corso degli ultimi mesi. Con un primato nel primato, quello della provincia di Taranto, per la quale la stessa Direzione nazionale antimafia ha parlato di “escalation” di attentati intimidatori. Con i suoi 75 casi di intimidazione ad amministratori, la Puglia è riuscita nell’ultimo anno a superare persino la Calabria, saldamente ferma al primo posto della classifica di Avviso Pubblico fino al 2012.

Sono diversi gli espisodi che hanno guadagnato alla Regione questo trofeo, la maggior parte dei quali avvenuti nella provincia di Taranto, in estate, e soprattutto nei comuni di Lizzano, Leporano e San Giorgio Ionico. Solo nel comune di Lizzano, a partire dal 2 agosto, in 10 giorni, si sono registrati più di 6 gesti intimidatori: è stata data alle fiamme l’auto del coordinatore provinciale del movimento “moderati in rivoluzione” Pippo Donzello, sono stati esplosi 4 colpi di fucile contro l’abitazione del consigliere comunale Cinque stelle, Valerio Morelli, altri spari colpiscono l’abitazione del consigliere comunale Pd Antonio Lecce, dell’ex vice sindaco Antonio Motolese (lista civica centro destra) e di un vigile urbano. A chiudere la catena di intimidazioni infine, il 13 agosto, il danneggiamento al vigneto del sindaco del comune, Dario Macripò.

Non è andata meglio nel comune foggiano di Rodi Garganico (Fg), né in provincia di Brindisi, a Cellino San Marco (Br), né in provincia di Bari, nei comuni di Bitonto, Bitritto e Toritto. In tutti si sono verificasi diversi episodi intimidatori, anche particolarmente gravi e reiterati. A Toritto (Ba) ne sono stati vittima, in sequenza, il sindaco, il presidente del consiglio comunale, un assessore e il locale rappresentante del partito Sel. L’effetto di questi attentati sono state talvolta anche le dimissioni degli amministratori, scelti dai cittadini ma infine messi all’angolo da volontà criminali. È accaduto a Rodi Garganico, dove il vice Sindaco Pino Veneziani si è dimesso dopo aver ricevuto una serie di minacce. Intimidazioni che avevano colpito anche il suo predecessore Giuseppe Tavani, e che hanno colpito il suo successore, Carlo Vallese. Sempre a Rodi Garganico, a marzo 2013, ignoti hanno esploso diversi colpi di fucile contro la finestra della casa dell’ex sindaco Carmine D’Anelli, al cui interno la moglie si è salvata gettandosi a terra.

Va detto che sugli attentati contro alcuni esponenti della politica locale pugliese, la Direzione nazionale antimafia mantiene una certa cautela. Nella sua ultima relazione annuale si legge che nei comuni del Salento, dove più forte è la Sacra corona unita, alcuni attentati possono essere interpretati – più che come conseguenza di gesti eroici – come la risposta della criminalità organizzata a “promesse che non vengono mantenute”, in un contesto in cui “sono i politici che cercano il supporto elettorale dei gruppi criminali presenti sul territorio, promettendo loro l’affidamento di lavori”. L’antimafia considera molto preoccupanti anche gli attentati contro gli amministratori del Tarantino, “molti dei quali ascrivibili alla criminalità organizzata” e finalizzati “al controllo delle amministrazioni locali”. Episodi anch’essi ritenuti di difficile lettura “a causa del silenzio spesso serbato dalle vittime”.

Una cosa è certa. Nel magma di paure, opportunismi e collusioni, esistono certamente anche delle storie di autentica resistenza. E di impegno quotidiano contro il malaffare. Renata Fonte, assessore del piccolo comune di Nardò (Le), uccisa per le sue battaglie contro gli interessi criminali. “Una donna appassionata, innamorata della vita, della famiglia, della natura e dell’arte”, come la ricorda la figlia Viviana nel rapporto di Avviso Pubblico, “diventata suo malgrado leader di un movimento politico e di pensiero che denunciava che in quella che fino ad allora era considerata un’isola felice, il Salento, stavano attecchendo i metodi e la cultura mafiosa”. Nei suoi anni di attivista e amministratrice per il Partito Repubblicano, Renata Fonte si occupò in particolare di illeciti ambientali e si espose in prima persona per difendere dalla speculazione edilizia la zona Porto Selvaggio, che oggi è un Parco anche grazie a lei. Renata Fonte fu uccisa la notte del 31 marzo1984, mentre rientrava da una riunione del Consiglio comunale. Il suo è il primo omicidio di mafia del Salento.

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