La data scelta dalle Nazioni Unite per la giornata mondiale in cui fare ogni anno il punto sulla forma più frequente di ritardo mentale nell’uomo non è casuale. I due numeri del calendario che segnano il primo giorno di primavera, il 21 e il 3, sono strettamente legati alla sindrome di Down. La malattia, con un’incidenza di 1 caso ogni 700/1000 nati, è, infatti, nota anche come “trisomia del 21”, per la presenza nelle cellule degli individui che ne sono affetti di 3 copie del cromosoma 21, anziché due come le altre 22 coppie. Ed è proprio su questo cromosoma soprannumerario che si stanno adesso concentrando gli sforzi degli studiosi.

Gli scienziati del Dipartimento di medicina specialistica, diagnostica e sperimentale dell’Università di Bologna, in particolare, hanno di recente avviato un progetto di ricerca ambizioso, della durata complessiva di cinque anni. Figlio del più noto Progetto Genoma Umano, che all’inizio del nuovo millennio ha permesso di decodificare l’intero alfabeto di circa tre miliardi di lettere del Dna, è stato battezzato Progetto Genoma 21. “Lo scopo della ricerca è integrare i dati derivanti da indagini a livello clinico, molecolare e bioinformatico, per rendere possibile – si legge nel progetto – la costruzione di mappe per l’individuazione di marcatori specifici, da utilizzare come bersagli di possibili terapie”.

Nonostante i passi avanti compiuti dalla ricerca sulla comprensione della biologia di base della sindrome di Down, finalizzati ad esempio alla soppressione del difetto genetico che ne è all’origine, ancora non esistono, infatti, terapie specifiche contro questa patologia. Gli scienziati negli anni sono riusciti a comprendere molti aspetti della malattia. Che si tratta di un difetto genetico congenito e non ereditario che, nella maggior parte dei casi, insorge in modo spontaneo durante lo sviluppo dei gameti, o subito dopo il concepimento, e può anche non interessare tutte le cellule del corpo. Hanno imparato che il ritardo mentale, dovuto alla riduzione complessiva del volume del cervello, è causato da anomalie nella formazione dei neuroni a partire dalla fase embrionale dello sviluppo cerebrale. E che, oltre alla disabilità cognitiva, la malattia è quasi sempre accompagnata dall’insorgenza precoce dell’Alzheimer, da un maggior rischio di leucemia infantile, di difetti cardiaci, del sistema immunitario e da una disfunzione del sistema endocrino. Conoscono, ormai, molti dei geni che causano la sindrome. Ma non sanno ancora come correggere gli errori. A differenza di molte patologie genetiche provocate dall’alterazione di un singolo tratto di Dna, infatti, in questo caso la correzione dovrebbe riguardare un intero cromosoma.

L’approccio che i ricercatori bolognesi hanno deciso di seguire è più sistematico e complesso del tradizionale sequenziamento del Dna. Oltre all’individuazione dei geni coinvolti nell’insorgenza della malattia, verranno, infatti, analizzati i numerosi fattori ambientali e metabolici – gli studiosi li chiamano fattori epigenetici – in grado di provocare alterazioni del codice della vita, attraverso, ad esempio l’aggiunta di piccoli gruppi atomici che ne modificano la funzionalità. “Tutta la difficoltà della ricerca è come scoprire il musicista discorde – affermava Jérôme Lejeune, il genetista che per primo negli anni 50 individuò nella triplicazione del cromosoma 21 l’origine della sindrome di Down -, perché l’orchestra della vita è composta da migliaia di musicisti”.

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