Conoscete la canzone Tabù di Remo Anzovino? Se la risposta è no, siete fortunati: significa che non avete mai dovuto chiamare il call center Alitalia, perché, ogni volta che comporrete quel numero, quel brano non vi lascerà scampo. La disavventura di Stefano inizia l’8 febbraio sul volo Roma-Torino. A destinazione si rende conto di avere lasciato gli occhiali sull’aereo. Sul sito web di Alitalia trova il numero 892010. Una volta per queste cose ci si rivolgeva a un numero verde senza costi. Oggi non è più così: 64 centesimi al minuto da rete fissa, 98 da telefonino. Chiamare in Russia o Algeria costa meno.

Nella giungla del menu “Per ‘i suoi voli’ prema 1…”
Stefano digita il numero, la voce registrata illustra le tariffe, poi accenna all’informativa sul trattamento dei dati. Finalmente comincia il menù: “Per i suoi voli prema uno; per Club Millemiglia due; per web e assistenze speciali tre; disservizi quattro; for English press five”. Stefano, mente logica, va per esclusione: niente inglese, né Club Millemiglia. Ragionevolmente nemmeno “i suoi voli”. Restano disservizi e assistenze speciali. “Gli occhiali li ho persi io – pensa – non è un disservizio”. Sceglie assistenze speciali. Altro menù: uno per web check-in, due per assistenze speciali. Stefano preme deciso due. Ancora un menù: “minori non accompagnati, assistenze mediche, trasporto bagagli speciali, prenotazioni polizia penitenziaria”. Niente, non va bene. Stefano ha sbagliato, e non c’è l’opzione di tornare indietro. Sbuffa, riaggancia, si accende una sigaretta. Bisogna ricominciare daccapo. Questa volta, dopo il messaggio registrato, vira deciso sul quattro: “Segnala un disservizio”. Arriva l’ennesimo menù: è il quinto. Le scelte sono disservizio bagagli; cancellazioni voli; altri disservizi. L’ultima è quella giusta. Ancora un messaggio registrato: “vuoi essere richiamato al termine della telefonata per esprimere un giudizio bla bla bla? Se lo desidera digiti uno, se non lo desidera digiti due”. A Stefano non frega niente e la sigaretta è finita. Ancora un messaggio preregistrato, quello più gettonato in tutti i centralini d’Italia: “Gli operatori sono momentaneamente impegnati, Alitalia si scusa per l’attesa”. Lo ripete due volte in italiano e una terza in inglese. Alla fine, attacca il jingle di sottofondo. Messaggio italiano, messaggio inglese, musica. Stessa sequenza per altre cinque, interminabili, volte. Intanto Stefano si è acceso la seconda sigaretta. È al telefono da quasi dieci minuti e ancora non è riuscito a parlare con nessuno. Poi, finalmente, una voce umana, femminile: “Relazioni clientela, come posso aiutarla?”.

Il reclamo? Su un pezzo di carta
“Buongiorno. Ho lasciato gli occhiali sull’aereo Roma – Torino”.
Dovrebbe mandare un fax”. Stefano ha un sussulto di nostalgia: il fax! Si ricorda di quel mondo scomparso fatto di banconote da diecimila lire, musicassette. Un mondo in cui la gente comunicava via fax. “Non ci sarebbe una email?”.
“No, mi spiace, non c’è altro modo. Vuole che le dia il numero?”. Stefano rassegnato sussurra “sì”.
“Zero sei, sei cinque sei… Specifichi nome, cognome, volo, posto a sedere e recapito telefonico. Grazie per avere chiamato Alitalia”.
“Grazie a lei”. Due chiamate, tempo totale 12 minuti e 46, per avere parlato meno di cinquanta secondi. Ottenere un numero di fax gli è costato quasi tredici euro. Prepara il reclamo e lo porta in copisteria. Altri due euro e cinquanta. Passano tre giorni, ma Stefano ancora non ha ricevuto risposta. Decide di richiamare. Un menu, poi un altro, un altro ancora. Sei minuti di voce di attesa e di Tabù di Anzovino. Poi, finalmente: “Buonasera Alitalia, come posso aiutarla?”.
“Io ho lasciato…”, accenna Stefano. Ma l’operatore entra a gamba tesa, con tono scocciato: “Non sento niente, tolga il vivavoce”.
“Sono in automobile”, si giustifica Stefano.
“Ma io non sento niente”. Stefano obbedisce. Riassume il problema, spiega degli occhiali, del fax senza risposta.
“Se lo scalo di arrivo non è Roma io non posso far niente. Deve mandare una mail ad Alitalia segnalando l’oggetto dimenticato”.
“C’è anche una mail? Ma a questo punto non potete aprire una segnalazione voi?”.
“No, non è la procedura corretta. L’unica procedura è mandare una email”.
“Ma allora perché non indicate direttamente l’indirizzo mail sul sito?”.
Non è questa la procedura”.
“Ok, grazie. Mi dà l’indirizzo?”.
“Oggettiritrovati chiocciola alitalia punto it”.
“Almeno un numero di telefono dell’ufficio oggetti ritrovati me lo può fornire?”
“Signore, io sono qui per comunicarle la procedura corretta. Altrimenti vada in aeroporto e parli con il personale dello scalo”.
”Ma io non sono di Torino, per questo volevo chiamare l’ufficio”.
“Non esiste un numero di telefono. Esiste una procedura via email”.
“Ho capito, grazie”.
“Se l’oggetto viene rinvenuto, glielo comunicheranno. In caso contrario non verrà contattato”.
“Neanche una mail di cortesia per dirmi che non è stato trovato?”.
“No”.
“Immagino sia a causa della procedura”.
“Esatto”. Nove minuti e cinquantasei di telefonata, quasi dieci euro. Stefano manda la mail, ricopiando il testo del fax. Dopo pochi minuti arriva la risposta: l’oggetto è “Non al computer”, segue testo: “Siamo aperti dal lunedì al venerdì, dalle 8 alle 16”. Stefano non capisce: sono le 15,30 di martedì pomeriggio, perché in ufficio non c’è nessuno?

“Gli operatori sono occupati”
La mattina seguente spazientito chiama ancora Alitalia. Ormai conosce quasi a memoria il dedalo di opzioni e la combinazione giusta per accedere alla voce “Altri disservizi”. Torna la canzoncina di attesa mentre “gli operatori sono momentaneamente occupati”. Stefano, con l’aiuto di Google, ne approfitta per saperne di più su quella musica: scopre che l’ha composta Remo Anzovino, un avvocato penalista di Pordenone. Dopo sette minuti arriva la risposta. Questa volta l’operatore, Fabrizio, è gentile. Stefano decide di risparmiargli tutta la storia. Va dritto al punto: “Ho perso gli occhiali sul volo Fiumicino – Caselle”. “C’è un numero da contattare per gli oggetti lasciati a bordo”.
“Sta scherzando?”.
“No, perché?”.
“Lasci perdere, non è colpa sua. Mi dia pure il numero”.
“0115676200”.
“Grazie”.
Stefano prova a comporlo, ma l’unica risposta sono quattro bip. Riprova dopo due ore. Niente. La mattina dopo, ancora quattro bip. Intanto però arriva la risposta alla mail che invita a chiamare il “lost and found” – persi e ritrovati – dell’aeroporto Caselle. C’è anche il numero: è simile a quello fornito dall’ultimo operatore del call center Alitalia, cambia l’ultima cifra. Stefano prende ancora una volta in mano il telefono, speranzoso. Almeno questa volta chiama un centralino diverso. Risponde un’operatrice che gli spiega che il numero da chiamare è un altro: “Noi ci occupiamo solo di bagagli, lei deve chiamare gli oggetti smarriti”. Il numero è giusto, l’ufficio sbagliato. Stefano vorrebbe protestare, ma si limita ad appuntare quello nuovo. Ennesima chiamata: “Pronto, oggetti smarriti, come posso aiutarla?”. “Avete trovato un paio di occhiali sul volo da Fiumicino di lunedì scorso?”. “No signore, mi dispiace”. Ci sono volute sei telefonate, una mail, un fax e ventotto euro.

Di Marcello Longo e Alessio Schiesari
Da Il Fatto Quotidiano

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