Chi ha partecipato da studente alle sue lezioni sostiene di non averlo mai visto seduto dietro la cattedra, ma sempre in piedi, avanti e indietro, a spiegare Dante, Petrarca, Torquato Tasso, Machiavelli e Gadda. Forse è questo il ricordo più immediato a cui si può ricorrere per spiegare l’instancabile attività didattica di Ezio Raimondi, storico docente di letteratura italiana all’università di Bologna dal 1975, filologo e critico letterario, morto la scorsa notte all’ospedale Sant’Orsola di Bologna a quasi 90 anni.

Raimondi era nato il 22 marzo del ’24 a Lizzano in Belvedere, robusto paese dell’Appennino che ha dato i natali ad Enzo Biagi, un’altra personalità che ha lavorato con le parole per tutta la vita. E sull’origine della lingua italiana, la sua storia, il suo uso nei secoli e nelle dottrine artistiche del contemporaneo Raimondi ha proseguito i suoi studi e i suoi approfondimenti portando l’Alma Mater, in cui si era laureato nella facoltà di Magistero ad inizio anni sessanta, in giro per il mondo tra Germania e Stati Uniti. Artefice di una sorta di “socratica educazione permanente”, come spiegò il suo allievo più vicino, il docente Andrea Battistini, “per Raimondi ogni luogo era buono per tessere una conversazione mai banale: in aula di lezione, innanzitutto, ma anche nei corridoi, sotto i portici, in attesa dell’autobus, a casa sua, sempre ospitale specie quando le file di studenti e di colleghi davanti al suo studio d’Università sono così lunghe da richiedere un’appendice, un supplemento di dedizione”.

In questa sua naturale ‘apertura’ agli studenti, al dedicarsi alle giovani generazioni, Raimondi, come ha ricordato nel messaggio di cordoglio il sindaco di Bologna, Virginio Merola, ha partecipato recentemente da ottantenne a diverse edizioni del Festival di Mantova. Ancor più bizzarro l’incontro negli anni settanta con Francesco Guccini, un non laureato che però trovò nel docente bolognese un estimatore entusiasta. “Mi piacciono le sue canzoni perché sono etica che si fa politica”, raccontò l’italianista ad Edmondo Berselli alcuni anni fa, proprio mentre Raimondi si occupava della tesi di laurea dell’ultima moglie del musico di Pavana, Raffaella Zuccari, con tema l’opera di Carlo Emilio Gadda.

Impossibile citare ogni onorificenza e incarico, anche se il prestigioso ruolo alla presidenza dell’associazione bolognese de Il Mulino, oltre che a coordinatore del consiglio editoriale dell’omonima rivista, rimane un chiaro esempio di come nel capoluogo emiliano tra gli anni sessanta e ottanta, tra semiotica di Umberto Eco, traduzioni di Gianni Celati e critica dell’arte di Renato Barilli, si fosse costruito un vero e proprio laboratorio di idee e insegnamento della lingua italiana senza eguali nel resto del paese. “La lettura non è mai un monologo, ma l’incontro con un altro uomo, che nel libro ci rivela qualcosa della sua storia più profonda e al quale ci rivolgiamo in uno slancio intimo della coscienza affettiva, che può valere anche un atto d’amore”, scrisse nel saggio “Un’etica del lettore” nel 2007, “La solitudine diventa paradossalmente socievolezza, entro un rapporto certo fragile come sono fragili tutti i rapporti intensi e non convenzionali, che aspirino a essere autentici. E qui forse, tra il lettore e lo scrittore, si producono lo sguardo, la coscienza, il faccia a faccia di una vera e propria relazione etica.”

“La scomparsa di Ezio Raimondi”, ha commentato Romano Prodi, “al quale ero legato da sincera amicizia, mi addolora molto. E’ stato grande il contributo che egli ha saputo esprimere alla cultura del Paese e al prestigio della nostra Università. Generazioni di studenti si sono formate, sotto la sua guida, a riconoscere il valore universale della letteratura e della poesia come dialogo incessante di una comunità dalla quale nessuno è escluso”.

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