Essendo stato uno dei più grandi milanisti di sempre, sino a ricoprire la carica di capo ufficio stampa dell’A.C. Milan nel lontano 86/87, non riesco a sottrarmi alla provocazione del «Fatto Football Club», che sintetizza il momento rossonero in una domanda capitale: Il Milan di B. meriterebbe la B? Prima d’ogni altro pensiero, respingo al mittente (che sospetto nerazzurro) l’inaccettabile quesito, in ragione del fatto che in B ci siamo già stati e ci siamo anche trovati bene, ma è un «unicum» che non si ripeterà. Detto questo, però, cerchiamo di analizzare lo stato dell’arte con quel minimo di serenità, ma anche di sereno cinismo, che la situazione (drammatica) impone.

Il primo punto, che anche un occhio meno smaliziato sarebbe in grado di percepire, è che ci troviamo in presenza di persone totalmente ineleganti. Parliamo dei manovratori, di Barbara B., di Clarence Seedorf, e spiace dirlo, anche di quel che resta di Adriano Galliani. Voi direte: cosa c’entra l’eleganza con i risultati del Milan? Nello sport, ma poi anche nella vita, l’eleganza (dei comportamenti) è tutto. Definisce una società, il livello del suo stile, la considerazione che all’esterno hanno di te. La forma è assolutamente sostanza.

Partiamo da Clarence Seedorf, che mantiene con orgoglio una media effettivamente da retrocessione. Il primo errore, scaturito da una vanità senza pari (supera persino quella di Mario Monti che pure è infinita), è aver accettato la squadra in corsa. Questo lo possono fare i «gestori», gente che arriva, sistema (forse) e se ne va, non i «costruttori», categoria alla quale Seedorf ambirebbe. Ma se poi si decide di prendere il Milan in corsa perché te lo chiede B. (che di Seedorf apprezza l’allure), la regola numero uno rimane sempre quella: mai scaricare le colpe su chi ti ha preceduto (soprattutto se hai già giocato dodici partite e di queste dodici ne hai perse sette). È unicamente per una fondamentale questione di stile che l’olandese non sarà mai un vero, grande, allenatore. Sarebbe decisamente più utile cacciarlo a fine stagione, ma temiamo che B. abbia le migliori intenzioni di confermarlo.

Campionessa d’ineleganza è anche Barbara B., la quale ci ha fatto perdere (a noi rossoneri) l’affare del secolo: cedere quella motozappa di Pato al Psg per un bastimento di denari e prendere Tevez che “purtroppo” sappiamo bene cosa vale. Quando si va da paparino e si stoppa l’affare del secolo solo perché si è innamorate del giovanotto (peraltro da tempo immemorabile inadatto a qualsiasi impresa calcistica e per di più afflitto, chissà come mai, da muscoli di cristallo) si commette un peccato di protervia sentimentale, dunque tamarra, che nulla ha a che vedere con la buona gestione di una società. Un classico caso di conflitto di interessi che in famiglia ha sempre tirato parecchio. Purtroppo paparino ha ceduto potere alla figlia prediletta (dopo Marina) e ora Barbarella imperversa come e più di prima senza sapere un’acca di quel che si deve fare in un’impresa calciofila.

In questa speciale classifica di persone che hanno chiuso lo stile in un cassetto, tocca annoverare anche Adriano Galliani, il quale sta invecchiando piuttosto male. Aveva presentato splendidamente le sue dimissioni nel momento in cui Barbara si era infilata nel suo territorio licenziando Allegri, ma poi si è rimangiato il “beau geste”, spaventato all’idea di sedersi tutti i giorni su una panchina ai giardini come un povero pensionato milionario senza null’altro da fare. Ha accettato una ridicola coabitazione, sapendo che non avrebbe portato a nulla. E infatti ora viene liquidato proprio dal Capo: «Il Milan – ha sentenziato il Cav. – è una squadra costruita male». Ma va’?

Ora qualche modesta considerazione sugli ultras che berciano allo stadio con i soliti slogan, minacciando di tenere in ostaggio squadra e dirigenti fino a tarda notte. Li ho visti bene, quelli delle prime file, sono gli stessi dei miei tempi, solo con i capelli bianchi. Fanno sincera pena. Sarebbe semplicemente una questione da forze dell’ordine, roba da spazzarli via in tre minuti netti, se non fosse che tutti i soggetti in campo (dirigenti, mezzi di informazione, giocatori, allenatore, polemisti in servizio permanente effettivo e le stesse forze dell’ordine) hanno l’interesse a mantenere lo “status quo” per poter affermare: io esisto, io ci sono. Si tratta, in realtà, di cerimoniali ormai stanchi e frusti, datati anni ’70, superati dall’evoluzione socio-economica del mondo del calcio. Tra i cerimoniali più patetici, c’è il solito “richiamo” degli ultras alla sacra maglia sfregiata da milionari sfaccendati, per cui presentarsi in delegazione dai medesimi e obbligarli al classico rito dell’umiliazione pubblica. Che Seedorf con la sua presenza abbia dato forma compiuta a tutto questo è semplicemente demenziale.

Quale futuro per una società così devastata non è facile immaginarlo. Un passo è stato fatto, mettere la pratica in mano a banca Lazard perché provveda a scovare qualche miliardario straniero in vena di prodezze. B. va per gli ottanta, G. per i settanta e B.B. è ancora una ragazzina. In pratica nessun futuro. Nuvole scurissime sul destino del «Club più titolato al mondo».

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