Un super boy che traghetterà la Serbia verso una completa europeizzazione o un pericoloso accentratore, con un passato scomodo, fresco di un risultato senza precedenti? La Serbia chiamata al voto per le politiche sceglie con decisione il partito conservatore filoeuropeista Sns con il 48,44% dei voti: guidato da Aleksandar Vucic raddoppia i propri consensi rispetto al 2012 e coglie la maggioranza assoluta. Già vicepremier e ministro della difesa, Vucic ha centrato un vero e proprio plebiscito con al secondo posto, staccatissimo, il Partito socialista col 14,05% (che gli varranno 45 seggi), il Nuovo partito democratico (Nds) al 5,86% (18 seggi) e Partito democratico (Ds) con il 5,46% e 17 seggi. Fuori le formazioni che non hanno raggiunto la soglia minima del 5%.

Il dato politico è che si tratta di un risultato senza precedenti come percentuali di consensi e il fatto che il neo premier era stato ministro dell’informazione sotto Milosevic: controllerebbe anche molti dei media nazionali, come sottolineano le opposizioni, che lanciano l’allarme di plebiscito dittatoriale. Il partito dell’ex presidente Boris Tadic che ha fondato l’Nds, il PD, subisce un crollo: solo due anni fa era al 22%. Anche le minoranze entrano in parlamento, grazie a un patto di lista con i tre partiti maggiori, come gli ungheresi con nove seggi, i bosniaci musulmani del Sangiaccato con tre e gli albanesi del sud della Serbia con due. L’affluenza è stata del 50,3%, inferiore rispetto alla votazione precedente nel 2012 e circa 6,7 ​milioni sono stati gli elettori per scegliere il nuovo parlamento composto da 250 membri.

“Abbiamo bisogno di una vittoria schiacciante per creare nuovi posti di lavoro, e proseguire nelle riforme per combattere la corruzione”, aveva annunciato Vucic pochi giorni fa. Il suo partito è anche accreditato per una probabile normalizzazione delle relazioni con il Kosovo in un’ottica di comune convenienza data dall’allargamento dell’Ue. Proprio in Kosovo il 34,42% dei serbi ha votato nelle legislative anticipate svoltesi in Serbia, come ha confermato Nikola Gaon, portavoce dell’Osce, i cui delegati hanno monitorato l’intera tornata elettorale. I commenti a urne chiuse sono contrastanti. Di straordinaria storia di redenzione per Aleksandar Vucic parla l’opposizione socialista, dal momento che il neo premier ha servito come ministro dell’informazione sotto il presidente ultra­nazionalista Slobodan Milosevic.

L’opposizione dice che sarebbe pericoloso concentrare troppo potere nelle sue mani, in quanto “l’intero paese è ipnotizzato da questo super ­ragazzo, che controlla tutti i media e decide su tutto ­ ha dichiarato Borko Stefanovic, leader parlamentare del Partito Democratico – quello che ci troviamo di fronte oggi è un regime da one­man”. Ma il prossimo governo della Serbia, al di là della storia del suo timoniere, avrà molto da fare: un serbo su tre non riesce ad accedere al mercato del lavoro, il processo di adesione all’UE presenta ancora scogli e difficoltà legate dal rispetto delle condizioni imposte da Bruxelles. Vucic ha promesso una radicale riforma del settore pubblico, di quello pensionistico e del welfare con l’obiettivo ambizioso di far emergere il Paese dalle ceneri della Jugoslavia federale, rivendicando una leadership economica nei Balcani occidentali.

Inoltre a breve dovrebbe bussare alla porta del Fmi per ottenere un nuovo prestito. Ma Vucic fu ministro dell’informazione alla fine del 1990 quando i quotidiani nazionali vennero multati e chiusi da una legge fatta ad hoc per imbavagliare il dissenso contro Milosevic: erano i giorni della guerra in Kosovo. Un passato che i serbi pare abbiano già dimenticato.

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