I giornali le stanno provando tutte per sopravvivere, ma la verità è una sola: il lettore deve pagare per l’informazione che vuole.

I direttori dei giornali di tutto il mondo si stanno sbizzarrendo in mille modi per escogitare come sbarcare il lunario e continuare a pubblicare. Ormai in edicola con il giornale cartaceo si può comprare di tutto, inserti, film e bambole. Sul web le formule per spillare qualche quattrino non si contano più: c’è chi mette tutto a pagamento, chi solo qualche articolo, chi dà gratis un tot di articoli al mese, chi fa pagare il mobile, chi offre la possibilità di diventare utente sostenitore. La vera sfida è fare aumentare le visite al sito per attirare più pubblicità, ma i risultati sono ancora scarsi o almeno ben al di sotto delle aspettative.

Al contempo il mondo dell’informazione diventa sempre più complesso e veloce. La multimedialità offre l’occasione di integrare testi, foto e video in modo sempre più accattivante, ma questo richiede professionalità e investimenti. E mentre il budget a disposizione delle redazioni è sempre più risicato, le competenze che un giornalista deve acquisire diventano sempre più complicate: non basta più scrivere in modo chiaro e diretto, adesso bisogna saper fare video e montarli, lavorare l’audio, fare foto, utilizzare a modo i social media e twitter.

Ma la crisi non è soltanto italiana. La collega Eleonora Bianchini, in un post dell’ottobre 2012 ma attualissimo, ha dato delle cifre interessanti, quindi non mi ripeterò. A Bruxelles, dove vivo e lavoro, conosco corrispondenti e collaboratori di tutta Europa, e la solfa è sempre la stessa: tagli, licenziamenti, prepensionamenti, precariato, paghe da fame – tranne una ristretta élite eredità di un passato ormai evanescente. Il giornalismo italiano si distingue dagli altri Paesi più ricchi d’Europa soltanto per le paghe da fame.

In un mondo ideale l’informazione, almeno quella sul web, dovrebbe essere gratis come l’aria che respiriamo. Ma il fatto è che viviamo in un a cruel world e quindi bisogna essere realistici: senza i soldi del lettore non si va da nessuna parte. Anche le redazioni web migliori campano sostanzialmente con gli introiti di abbonamenti e vendite in edicola, questa è la verità. In attesa del giorno in cui i pubblicitari pagheranno il giusto prezzo per i banner online – e ammesso e non concesso che vogliamo essere bombardati di finestrelle che si aprono da sole quando leggiamo un articolo – il lettore deve fare un “atto di coscienza”: aprire il portafogli e scucire qualche misero euro per l’informazione della quale usufruisce quotidianamente.

Pagare per l’informazione non vuol dire fare un favore ai giornalisti ma farlo a se stessi. Si parla tanto di etica e deontologia professionale, libertà dei media e così via. La verità è che bisogna garantire stabilità economica ai giornali per difenderne l’indipendenza e mantenere alta la qualità dei loro prodotti. Finché un professionista sarà pagato 20-30 euro (lordi!) al pezzo e dovrà sgobbare più di 10 ore al giorno in preda al precariato più totale, dovendo magari fare più lavori per sbarcar il lunario, l’informazione prodotta non sarà mai di altissima qualità, e il lettore brontola.

Le velate proteste di qualche lettore alla notizia che Il Fatto Quotidiano si quota in borsa mi hanno fatto sorridere. Il Fatto è una realtà editoriale giovane, dinamica e ambiziosa, che sta investendo molto nel multimediale per far fronte ai tempi che cambiano. La società ha fatto la coraggiosa scelta di non ricevere finanziamenti pubblici per non essere dipendente dalla politica, il prezzo del quotidiano in edicola è in linea con quello degli altri competitors e il sito internet offre contenuti giornalistici di qualità gratis. Allora la domanda è: la società dove dovrebbe prenderli i soldi? Sulla luna?

Immagino la risposta di un lettore leggermente piccato: “Caro Pisanò, e io dovrei pagare per leggere te!??”. No, o almeno non per forza. Ogni lettore potrebbe sottoscrivere un piccolo abbonamento a qualsiasi giornale gli faccia piacere, Il Fatto Quotidiano, Il Corriere della Sera o Quattro Ruote, non importa. Infatti non penso si tratti di un discorso di tirchieria. Il passaggio da fare è tutto culturale: bisogna metabolizzare che, in attesa di un mondo migliore, bisogna pagare per l’informazione, poco, pochissimo, ma bisogna farlo. Allo stesso modo per cui paghiamo per l’acqua, il pane o l’energia elettrica. Solo in questo modo la qualità e l’indipendenza dell’informazione sarà garantita e a scrivere saranno i migliori…e non i “giornalisti da strapazzo” come me.

@AlessioPisano, www.alessiopisano.com

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