“Non è detto che avrò dei figli. Ma di sicuro vorrò avere la possibilità di concepire e di partorire”. Beth Warren, una fisioterapista di Birmingham, ha ora vinto il suo ricorso. Lo sperma del suo defunto marito, morto per un tumore nel febbraio del 2012, potrà essere conservato fino al 2060 e non dovrà essere distrutto entro un anno, come invece l’autorità che regola la fertilizzazione in vitro aveva stabilito. La battaglia vinta dalla donna – il suo attuale cognome è il nome di battesimo del marito, venuto a mancare per un cancro all’età di 32 anni – segna così una nuova frontiera sul fronte dei diritti nel Regno Unito, dopo il caso, due mesi fa, della donna che combatteva per poter prelevare il seme del suo partner in coma.

Nel caso di questi giorni, l’uomo prima di iniziare la radioterapia aveva fatto conservare il proprio seme e aveva detto alla moglie che avrebbe potuto usarlo come e quando avesse voluto. Ma, sostiene l’autorità, questo consenso deve essere rinnovato ogni due anni oppure, nel caso di morte, si deve avere un chiaro consenso scritto a una lunga conservazione nelle celle frigorifere. Un documento che in questo caso mancava, secondo il giudice a causa degli errori della clinica medica alla quale l’uomo si era rivolto per la donazione. Ecco, così, il giudizio a favore della donna. Warren, che ora ha 28 anni, era apparsa più volte in televisione e aveva raccontato più volte, in diretta, la sua storia. Il giudice che poi ha sentenziato in suo favore ha detto che “abbiamo prove del fatto che l’uomo e la donna abbiano parlato, più volte, di un matrimonio senza termine prestabilito, di una vita felice insieme e della possibilità di avere bambini”.

Quando l’uomo scoprì di avere un tumore ormai diffuso in tutto il corpo, cervello incluso, aveva appena perso il fratello da pochi giorni per un incidente automobilistico. Di tragedia in tragedia, con il personale medico che gli comunicò la possibilità di poche settimane di vita, spingendolo a provare una disperata sessione di radioterapia e a conservare il suo seme, come da routine in questi casi. L’uomo così si rivolse a una clinica, che effettuò regolarmente il prelievo ma senza avvisare l’uomo della necessità di un documento scritto per una lunga conservazione dello sperma. Ed è proprio a causa di quella mancanza e di quell’errore che ora la donna può reclamare il suo diritto di avere un figlio nel momento più opportuno. Impedimenti biologici a parte, avrà tempo per almeno altri vent’anni, mentre il seme sarà conservato, appunto, per altri 45 anni.

Chi ha criticato la sentenza, tuttavia, lo ha fatto sulla base di alcuni fatti. Innanzi tutto, la coppia si era sposata in ospedale, a poche settimane dalla morte dell’uomo. Secondariamente, come ha sottolineato l’autorità per la fertilizzazione, “non si può sapere quali fossero le reali intenzioni dell’uomo in relazione a una così lunga conservazione dello sperma”. Inoltre, ha aggiunto l’ente, “questo potrebbe essere un pericoloso precedente e in futuro altri giudici potrebbero sentenziare su vicende in cui la volontà delle parti non è chiaramente definita”. Intanto, per quanto riguarda il caso della donna che a gennaio voleva prelevare il seme del partner in coma, la sentenza è stata secretata. Il tutto mentre nel Paese si accende il dibattito anche sui rischi professionali. Rick Clement, 34 anni, un soldato che ha perso gambe e testicoli durante un’operazione di guerra, ora lancia una petizione e chiede al ministero della Difesa: “Conservate lo sperma dei militari che vanno al fronte. Salvate il nostro diritto a una vita normale”.

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