Può un film di fantascienza essere una storia d’amore, la più innovativa, struggente e liquida degli ultimi anni? Può un film darsi del Lei (Her) e, insieme, dare del tu alle gioie e dolori del nostro (soprav)vivere 2.0? Può un film, insomma, renderci partecipi e appassionati della relazione amorosa tra un uomo e un sistema operativo, che è solo voce in uscita dal pc o dallo smartphone? Può, a patto che a scriverlo e dirigerlo sia Spike Jonze, a interpretarlo Joaquin Phoenix e – nella versione originale – Scarlett Johansson, che con quell’ugola può tutto (migliore attrice al Festival di Roma). Her ha vinto l’Oscar per la migliore sceneggiatura originale, soprattutto, Her ha l’intenzione, l’ambizione e la capacità di riadattare il celebre memento di Marshall McLuhan, “il medium è il messaggio”: non che sia tramontato, basti compulsare Twitter e Facebook, ma il genietto Spike ha l’ardire di guardare non solo all’oggi (il futuro realizzato di McLuhan), ma al domani, meglio, il di qui a qualche ora. Ebbene, ci dice Her, “il medium è il destinatario”.

Samantha, così si chiama Scarlett, è Siri (l’interfaccia vocale di Apple) prossima ventura, con un sostanziale upgrade: Theodore, il personaggio di Phoenix, inizia a usarne la sofisticata intelligenza artificiale per sistemare rubrica e agenda, ma poi vuole di più, ovvero crede che Samantha esista davvero in carne e silicio. E abbia un cuore che batte per lui. Il sistema operativo diviene il suo interlocutore, l’unico: non più funzionale, ma esistenziale.

Samantha c’è, esiste, il medium è divenuto il destinatario e, appunto, diventerà l’amata di Thedore: il nostro (anti)eroe 2.0 verrà ricambiato? Ma, prima, chi è Theodore? Lavora a Belleletterescritteamano.com, impiego non qualunque: alla faccia nel “non chiedere al poeta”, verga missive per analfabeti sentimentali, o giù di lì. Theodore è profondo, tormentato, solo: una precedente relazione (Rooney Mara) che non se ne va, un’amica speciale (Amy Adams) e una città da solcare con altri uomini e donne ridotti ad automi da Samantha e i suoi fratelli, ovvero il sistema operativo OS1.

Tutti parlano da soli, con nessuno, eccetto l’OS1, e non che Theodore non provi a invertire la rotta: appuntamento al buio con Olivia Wilde, che proprio da buttare non è, ma non va. C’è solo Samantha, ma fino a quando? Altri interrogativi sono meno diegetici, ma più ficcanti: chi conferma la liceità di una relazione virtuale, basta la convalida sociale, come nel caso di Theodore? Ancora, questi avveniristici “compagni di vita” sono una mera protesi del nostro Ego, ci possiamo fare l’amore o ci masturbiamo solo? E, infine, esiste una vita vissuta e una digitalmente esperita o coincidono? Quesiti da stroncare Bauman, da ridurre ad archeologia sentimentale i barthesiani Frammenti amorosi, da gettare sul nostro immediato futuro ombre in codice binario: mentre gli Arcade Fire suonano, Spike Jonze canta un umanissimo e umanista De profundis all’amare come l’abbiamo conosciuto e lo stiamo disconoscendo.

Senza apologhi morali, senza accelerare sulla distopia, piuttosto, il regista entra nella mente dell’uomo e nel cuore della macchina e prova a eludere le differenze: chi amiamo quando ci innamoriamo del computer, la nostra proiezione, la nostra disperazione o davvero amiamo un altro da noi? Dannato Jonze, che con la sua camera unisce i puntini di quel che si sta formando nella società per prefigurarci quel che saremo a breve: merita tutti i nostri applausi e, se volete, esami di coscienza. Her arriva oggi nelle nostre sale doppiato con la voce di Micaela Ramazzotti al posto di Scarlett Johansson: 105 le copie “italiane”, 65 quelle originali. Prima Her e poi Lei, vedeteli entrambi: sono (quasi) due film diversi.

Il trailer

 

Da Il Fatto Quotidiano del 13 marzo 2014 

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